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Syzygy, un termine un po’ ostico da pronunciare sia in inglese che in italiano (sizigia), indica in astronomia la posizione di congiunzione e di opposizione della luna che, per due volte si viene così a trovare, nel corso del suo ciclo celeste, sulla stessa linea del Sole e della Terra. Musicalmente il termine indica una perfetta triangolazione fra individui, un rapporto per così dire unico che lega i tre fondatori del gruppo e cioè Carl Baldassarre (chitarra, mandolino e voce), Sam Giunta (tastiere) e Paul Mihacevich (batteria e percussioni). Sotto questo auspicio astrale la musica del gruppo, che all’inizio si chiama però Witsend (e sotto questo nome lancia il proprio debutto discografico “Chosmos and chaos” nel 1993), si configura come uno splendido prototipo di Prog Americano in cui convergono molteplici influenze ed elementi in una formula dal sapore genuino e nient’affatto plastificato. Forse anche perché certe congiunzioni astrali non capitano tutti i giorni, la carriera del gruppo è illuminata da poche uscite discografiche. Bisogna infatti aspettare ben dieci anni, siamo nel 2003, per ascoltare “The allegory of light”, il primo disco a nome Syzygy, realizzato dalla stessa triangolazione di musicisti che elaborano uno stile eclettico e movimentato che porta a perfezionamento l’esperienza ancora un po’ acerba dei Witsend. Nel 2009 la creatività del gruppo, che non è più un trigono per l’arrivo del bassista Al Rolik, appare in evoluzione e nasce così “Realms of Ethernity”, un album ancora più ricco che parla della vita ultraterrena. Il passo successivo è quello di inglobare stabilmente nella formazione colui che in questa ultima opera in studio era solo un ospite: il cantante, ed ex Royal Hunt, Mark Boals. Allo stato attuale i Syzygy sono quindi divenuti una vera e propria costellazione in grado di forgiare in maniera più articolata le proprie idee. Il nuovo assetto risulta particolarmente congeniale dal vivo, con un cantante leader libero di muoversi sul palco e di dare forza alle parti vocali, e possiamo apprezzarlo concretamente in questa splendida nuova opera che offre un’esauriente panoramica sul repertorio del gruppo. Nella ricca confezione apribile, elegantemente illustrata con rosoni e figure angeliche, troverete un CD e un DVD che ritraggono le esibizioni dei Syzygy in occasione del Three Rivers Progfest del 2009 a Burgettstown (Pennsylvania) e del festival A Day of Prog, tenutosi l’anno seguente a Bridgeville (sempre in Pennsylvania). A completare la triangolazione viene aggiunto un bonus DVD, della durata di un’ora e mezza, con interviste e uno speciale dedicato alla realizzazione di “Realms”, con analisi dettagliate di ogni traccia. Il repertorio pesca sia dal vecchio esordio a nome Witsend, con belle versioni di “Ciradian Rhythm”, “Strage Loop II” e “Mounth Ethereal”, tirate a lustro e rinnovate, che dal successivo binomio discografico, con una scaletta appena più lunga, come ovvio, nella versione DVD. Mi fa piacere che sia stata proposta per intero la bella e lunga suite “The Sea”, tratta da “Realms”, anche se possiamo ammirarla solo nella versione DVD; poco male però, visto che il pezzo guadagna brillantemente dal vivo e l’ausilio delle immagini è decisamente piacevole. Rispetto alla versione CD, il disco versatile contiene anche un paio di cover proposte come bis nella serata di Bridgeville e cioè “In the Dead of Night” degli UK e “Burn” dei Deep Purple, riempitivo divertente che certamente non toglie spazio alla mole di materiale. Per il resto le scalette dei due dischetti scorrono, a parte qualche piccola variante nell’ordine, praticamente in parallelo. L’apertura è affidata ad una fulminante “Vanitas”, presa sempre da “Realms”, che riesce a dare subito un’ottima sintesi dello stile del gruppo, articolato, scorrevole, con maestosi intarsi sinfonici e riferimenti a EL&P, Yes, UK ma anche a Kansas, Nathal Mahl e Spock’s Beard brillantemente combinati. C’è poi da dire che il sound è davvero superbo e, per quel che mi riguarda, l’ascolto puro, senza le immagini, mi aiuta ad apprezzarne lo spessore e la ricchezza. Il salto nel passato con “Mounth Ethereal” non è brusco, grazie ad una omogeneizzazione dello stile e dei suoni, particolarmente brillanti, anche se il livello compositivo, nelle opere più recenti è sensibilmente più elevato, come è evidente dagli altri estratti dall’ultima opera in studio e cioè “Dreams” ma soprattutto “Darkfield”, decisamente stuzzicante con i suoi richiami ai Gentle Giant che si confondono come al solito con mille altri punti di riferimento. Da “The Allegory of Light” ci vengono invece proposte le due tracce che aprivano questo album e cioè “M.O.T.H.” e “Beggar’s Tale”, qui in ordine invertito, e anche questo è un bel sentire, con una prepotente “M.O.T.H”, oscillante fra EL&P, Rush e Yes, posta proprio in chiusura, giusto per non far calare inutilmente una tensione che si mantiene alta dall’inizio alla fine. Sia le parti tastieristiche che quelle di chitarra sono sempre rigogliose, con cascate continue di assoli e spartiti sempre vivaci ed ipertrofici che sicuramente fanno di questa band un felice esempio, come detto all’inizio, di ottimo Prog Americano, bombastico ed eclettico, come sempre più raramente capita di apprezzare ai giorni nostri. Trovo indicato, per i curiosi che non conoscono la band, passare prima dalle produzioni in studio che già a suo tempo consigliai di ascoltare, anche se quest’opera appare decisamente completa e ricca di informazioni, inclusi i testi delle canzoni che troverete nell’apposito booklet. A mio giudizio però la versione live guadagna molto di più se si conosce il punto di partenza nella sua forma cristallizzata, va detto però che l’accurata realizzazione di questo disco giustifica quanti di voi desiderano bruciare le tappe e iniziare l’approccio a questo gruppo dalla fine.
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