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CRYSTAL PALACE The system of events Gentle Art Of Music 2013 GER

Se si conta anche “Acoustic Years”, raccolta di brani reinterpertati nel 2006 in chiave acustica, questa del 2013 risulta essere nel complesso la sesta uscita per la prog-metal band tedesca. Discografia iniziata nel 1995, un anno dopo la costituzione ufficiale del gruppo, e andata avanti tra numerosi cambi di line-up, approdando oggi a quello che viene definito dall’etichetta interessata come un autentico masterpiece. Ma si va anche oltre, perché alla domanda retorica: «Come dovrebbe suonare un art-rock album ai giorni nostri?», si risponde: «Deve suonare come “The system of events”!».
Tralasciando le evidenti dichiarazioni di parte, il quartetto chiama a sé per l’occasione Colin Edwin, famigerato bassista dei Porcupine Tree, fattore che crea ulteriore interesse attorno alla loro ultima fatica, i cui ritmi non pigiano mai sull’acceleratore nonostante le timbriche non possano essere definite affatto delicate. Un album che si interroga sui misteri del Fato e sull’eventualità che possa esistere una formula – come quella riportata in copertina – capace di determinare le nostre vite. Creatività letteraria a parte (il tema ricorda il romanzo “Einstein e la formula di Dio” del portoghese José Rodrigues dos Santos), il pezzo che fa da manifesto agli sforzi del quartetto di Berlino è la conclusiva title-track. Sicuramente la migliore delle otto canzoni proposte, tredici minuti di decisa melodia malinconica; il graduale crescendo porta all’assolo neoclassico di Nils Conrad, a cui però fa eco alla fine quello dell’ospite Kalle Wallner degli RPWL (e Blind Ego), che andando in territori Gilmouriani denota un gran spessore con cui esce da certi schematismi e fa incanalare la composizione verso un finale coreografico da cantare col cuore leggero.
Il resto? Non come sbandierato ai mezzi di comunicazione. L’iniziale “Chasing better days” e “Sleepless” sono dure, sognanti e narrative, ricordando più o meno gli ultimi Porcupine Tree. “As heaven dies” è ritmata, con assolo formale (anch’esso di natura neoclassica) e con un buon feed-back nella parte conclusiva. “Beautiful nightmare” dura poco meno di dodici minuti, presenta un’atmosfera misteriosa a metà brano che si protrae fino ad una coda strumentale a sua volta lunga, cadenzata ed onirica. Altro brano dall’ampio minutaggio è “Breathe”, dieci minuti abbondanti in cui la seconda parte è scandita dalle intonazioni vocali di Yenz che vanno di pari passo alle variazioni melodiche.
Ci sono poi due ballad interessanti: “Green way”, orecchiabilissima, che potrebbe ricordare addirittura i Moon Safari, e “Stunned by the silence”. Quest’ultima, dopo aver scaldato i motori, sembra una versione un po’ più indurita dei R.E.M. con assoli di chitarra che saranno ascoltati e riascoltati dai neofiti del genere.
Si vuole forse parlar male di quest’ultimo sforzo dei berlinesi? No. Ma allo stesso tempo nemmeno lasciarsi infatuare dai superlativi che molto probabilmente verranno fatti propri da mezza stampa internazionale, creando così l’ennesima grande band del momento. Però qui bisogna mettersi d’accordo: non si può da un lato dire che da troppo tempo si vegeta in un ristagno di idee e poi, allo stesso tempo, gridare costantemente al miracolo compositivo. In questo caso la produzione di Yogi Lang (anch’egli RPWL, qui dà una mano pure come tastierista, suo ruolo naturale) è praticamente perfetta, limpida, definita come raramente accade di sentire, solida pur rispettando la melodia. I brani in sé sono anche molto piacevoli da seguire, a patto che non si scomodino chissà quali capacità di songwriting o geniali soluzioni armoniche. Si tratta di un disco ben suonato, ben cantato e prodotto ottimamente. Ma i Capolavori o anche “soltanto” i dischi dell’anno sono ben altri.


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Michele Merenda

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