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FABRICE BONY |
Inner lands |
Arbre de vie |
2013 |
FRA |
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Disco delizioso questo secondo lavoro di Fabrice Bony, “Inner Lands” un lavoro che pur replicando la raffinatezza dell’esordio “Between Day”, uscito nel 2008 ed anch’esso autoprodotto, si distacca sensibilmente dal più austero approccio cameristico neoclassico venato di ambient per orientarsi invece verso un’urgenza musicale più rock e dinamica, quindi un lavoro che rispecchia molti aspetti del più classico progressive rock strumentale, in delicato equilibrio tra le tipiche sonorità sinfoniche (Mellotron ed organo) e suggestive e sognanti trame elettroniche e minimali, senza particolari forzature. I brani scorrono via piacevolmente e senza difficoltà, il piacere dell’ascolto viene inoltre accentuato dal quel caratteristico tocco francese, elegante e capriccioso insieme, che rende così particolare il progressive transalpino... Il delicato gusto barocco per gli arrangiamenti e le sonorità di evidente derivazione Ange, Genesis e lo Steve Hackett solista, con uno sguardo ampiamente rivolto anche verso i Camel e Mike Oldfield, si amalgamano insieme a particolari forme di jazz rock-fusion seminate parsimoniosamente lungo la durata del cd: bisogna dire che “Inner Lands” è sicuramente un lavoro più “regolare” ed accattivante, le caratteristiche più sperimentali ed ombrose che caratterizzavano “Between Day”, dovute anche al particolare tipo di concept su cui si basa l’album (la Near Death Experience, esperienze di pre-morte), sono state appunto smussate in un contesto relativamente di più facile ascolto dove la dimensione orchestrale è in parte ridimensionata da una più significativa presenza della chitarra elettrica solista: in effetti, “Inner Lands” sembra quasi un album scritto ed arrangiato prevalentemente per chitarra, diversamente da “Between Day” in cui il pianoforte ricopriva il ruolo di strumento portante in molti brani. Fabrice Bony in questo senso dimostra di essere un buonissimo chitarrista ed eclettico e raffinato polistrumentista... Personalmente i brani che più ho apprezzato sono la lunga e tribale “Native Land”, composizione multiforme divisa in tre parti dove si combinano progressive rock, divagazioni ambient-trance e fusion fantasmagorica, e la gioiosa marcia sinfonica di “Parade”. Forse c’è da rimanere leggermente spiazzati dal cambiamento di stile intercorso nel lustro di tempo che ha separato i due lavori di Fabrice Bony e non sono del tutto sicuro che “Inner Lands” sia la giusta evoluzione per la sua musica, però senza dubbio i brani di Fabrice sanno prendere il cuore e l’anima di chi ascolta...
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Giovanni Carta
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