E con questo sono 14!!! “The root, the leaf & the bone” è infatti il 14° album di Guy Manning (un passato anche con i Tangent di Andy Tillison) dopo “Akoustic”, dell'anno passato, dove rivisitava in chiave acustica appunto brani dei precedenti lavori. La qualità, soprattutto nelle ultime uscite, è sempre elevata e questo “The root...” conferma la regola. Certo, se si possiede una voce simile a quella di Ian Anderson dei Jethro Tull e il sound si avvicina, a tratti pericolosamente, a quello dei maestri britannici, non sarà difficile comprendere cosa aspettarci dal nuovo full length e chiudere qui la recensione. Ma fortunatamente non sempre è così. E' il caso della title track. Il soffuso inizio guidato dal flauto e da tastiere delicate fanno da introduzione alla voce di Manning di grande levità in principio, in crescita, come la parte strumentale, in seguito. Un violino sempre più insistente, ancora tastiere e flauto conducono poi all'elaborato finale. Di qualità elevata anche “Autumn song” basato su fraseggi prevalentemente acustici e con notevoli inserimenti al sax di Marek Arnold. Ottima “The huntsman & the poacher”, un folk-rock che non avrebbe sfigurato su “Heavy horses” o su “Songs from the wood” dei Tull per il suo mood bucolico, quasi da ballata contadina. C'è poi la vera chicca dell'album: “Amongst the sleepers” che abbina in modo mirabile l'anima acustica con le aperture sinfoniche senza disdegnare gli sprazzi “cameristici” offerti dagli archi. Detto di “Old school” che, pur senza entusiasmare (e con una batteria al limite del fastidioso), si avvale di uno splendido assolo di organo di John Young e di “Palace of delights”, un jazz-rock poco convincente, l'album si mantiene comunque su livelli più che accettabili e meritevole della presenza nella vostra discoteca... vicino ai Tull... ovvio...