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MANNING |
Margaret's children |
Festival Music |
2011 |
UK |
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Non sono molti gli artisti oggi che possono vantare un numero di album solisti in “doppia cifra”. Fra questi il polistrumentista Guy Manning (già Parallels or 90 degrees e Tangent) la cui ultima fatica “Margaret's children” rappresenta il 12° “solo” album. Un lavoro che a tutti gli effetti è il sequel di “Anser's tree” del 2006 e che in ogni brano narra la storia di un antenato di Jonathan Anser (archeologo del nostro immediato futuro ed interessato ad investigare sul proprio albero genealogico). Caratterizzato dall'ennesima splendida copertina di Ed Unitsky, il concept si sviluppa in 7 brani di varia lunghezza. “The year of wonders”, dal refrain di facile presa, vive sul riuscito connubio fra le sonorità dei migliori Tull e dei King Crimson più romantici di “Islands”. Grande spazio è lasciato al flauto,al violino e al sax soprattutto sul finale. La semplicità del ritornello non ci fanno certo scordare le ottime parti strumentali dall'indovinato tocco folk. “Revelation road” è quasi un country-southern-rock con la voce di Manning sempre molto vicina a quella di Ian Anderson. “A perfect childhood”,divisa in 5 parti, è la suite dell'album ed anche il brano più affascinante. Raffinatissimi segmenti strumentali (flauto,violino,cello,sax...) ravvivati da chitarre e tastiere, supportano la storia cantata con perizia da Manning. La melodia è poi sempre sovrana e di tale garbo... Ben inserita nella storia del concept “A night at The Savoy, 1933” con l'aria fumosa dei cabaret che la fa da padrona e l'ottima interpretazione vocale di Julie King (con cameo di Phideaux). Forse memore del titolo “An average man”, il brano, dopo un bell'inizio ritmato, scivola via senza grosse novità e senza rimpianti particolari. Ancora i Jethro Tull, filtrati da sonorità arabeggianti, segnano in modo indelebile “Black, silk, sheets of Cairo”. Molto ricercata e con una punta di malinconia la conclusiva “The southern waves” costruita su belle frasi di pianoforte, un morbido flauto e garbati stacchi di sax e violino. Non conosciamo tutta la discografia di questo prolifico autore (cercheremo di provvedere al più presto...), ma questo “Margaret's children” è senza dubbio un album di assoluto valore, che non nasconde le fonti di ispirazione principali (evidente peraltro anche un certo Canterbury sound) e che si abbevera alla “grande (e sempre ricca di suggestioni) fontana” degli anni '70, ma con un tocco moderno che aggiunge ulteriore colore all'affresco dipinto da Manning e dalla sua ottima band.
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Valentino Butti
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