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SEZIONE FRENANTE |
Metafora di un viaggio (Arditi voli di cervelli attenti) |
Ma.Ra.Cash |
2014 |
ITA |
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Dai profondi anni ‘70 ecco a voi i Sezione Frenante. Si, perché l'origine della band è proprio nei favolosi seventies quando quattro ragazzi ricchi di sogni iniziarono a suonare assieme. Malgrado numerosi concerti come “opening act” di gruppi importanti, i sogni “morirono all'alba” ed il gruppo si sciolse senza la possibilità di pubblicare un album. Poi nel 2006 i 4 membri storici, e cioè Alessandro Casagrande (batteria), Sandro Bellemo (basso), Doriano Mestriner (chitarre e voce) e Mirco De Marchi (tastiere e voce), riprendono in mano il progetto ed oggi, nel 2014, “Metafora di un viaggio” vede finalmente la luce. Nel frattempo si sono aggiunti alla line up Francesco Nardo alla voce e Antonio Zullo alla chitarra acustica. Come ampiamente prevedibile la proposta del gruppo è saldamente ancorata al periodo aureo in cui la band muoveva i primi passi ma, nonostante ciò, gli arrangiamenti freschi ed un suono cristallino e senza patina di polvere alcuna, conferiscono un che di attuale e frizzante. Le principali fonti di ispirazione, per una volta, non sono i soliti noti o, perlomeno, non solo loro. Infatti i rimandi più espliciti sono a gruppi “minori” come Rovescio della medaglia, Biglietto per l'inferno e ai romani Divae (attivi a metà anni ‘90 questi ultimi) con cui condividono la verve spumeggiante, un cantante dalla voce potente ed una buona inclinazione melodica. Dieci sono i brani che compongono il concept (tutti piuttosto brevi, eccezion fatta per gli ultimi due che superano gli 8 minuti), legati assieme a formare una lunga suite con le calde sonorità dell'organo e del Moog a dominare spesso la scena, anche se la chitarra elettrica offre non di rado buoni spunti e notevoli assoli, ben assecondati dalla macchina ritmica di Casagrande e Bellemo (a proposito, al bassista spettano la totalità delle musiche e dei testi). Momenti di puro hard rock con la ficcante chitarra elettrica di Mestriner sono addolciti dal languore del pianoforte. Una ritmica decisa, ma comunque controllata, va ad incastrarsi ora con un assolo di tastiere, ora di chitarra, ora, ancora, con la splendida ugola di Nardi oppure con un bel giro di basso. Non siamo distanti, talvolta, dalle suggestioni “anglofone” degli Uriah Heep di “Look at yourself” o “Demons and wizards”, ma con, in più, il gusto melodico così tipicamente italiano. Nessun inutile orpello, o quasi, ma tutti diritti al sodo ed al cuore dell'ascoltatore. Un album “sanguigno” che, avesse la (impossibile?) fortuna di godere di una certa visibilità, potrebbe fare breccia non solo fra i die-hard progsters ma anche presso un pubblico più vasto. Pura utopia? Temiamo di si purtroppo....
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Valentino Butti
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