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ALCO FRISBASS |
Alco frisbass |
Fading Records |
2015 |
FRA |
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Se da un lato il progresso tecnologico ha provocato un'alterazione dell'equilibrio naturale della vita dell'uomo, dall'altro, bisogna ammetterlo, l'ha considerevolmente migliorata, ampliandone senz'altro le comodità e rendendo possibile ciò che fino a qualche anno prima non era neppure immaginabile. Questo disco, uscito per la Fading Records, è infatti nato proprio grazie ad uno scambio di file musicali tra Fabrice "Chfab" Chouette (tastiere, chitarra, percussioni) e Patrick "Paskinel" Dufour (Fender Rhodes, tastiere, batteria). Una collaborazione a distanza, durata un annetto, che ha visto tante idee e proposte confrontarsi e volare fra Parigi e Rennes, raccogliendo infine i suoi frutti sotto lo pseudonimo Alco Frisbass. La distanza, non rappresentando dunque più un problema, ha permesso che i due francesi potessero beneficiare, nel loro album d'esordio, della presenza di special guests provenienti anche da altri Paesi: oltre al loro connazionale Thierry Payssan (Minimum Vital), sono stati tirati in ballo gli italiani Paolo Ske Botta (Not A Good Sign, Ske, Yugen) e Archimede De Martini (Stormy Six) ed il norvegese Jacob Holm Lupo (White Willow). Credo che la scelta di questi collaboratori abbia giovato in maniera particolare al prodotto finale, essenzialmente per due motivi: il primo, oggettivo, è che trattasi di musicisti validi con alle spalle carriere assolutamente degne di nota; il secondo, decisamente più personale, riguarda l'influenza che ciascuno di loro riversa nello stile complessivo del disco. Formazioni, periodo di attività e provenienze differenti, hanno sicuramente impreziosito un qualcosa che già prometteva bene, sebbene i loro interventi interessino solo alcuni dei sei brani che compongono l'album. Su un tappeto melodico dal profumo chiaramente canterburiano, si adagiano e mescolano elementi fusion, riff più massicci e corposi tipicamente RIO, addolciti da splendide parti sinfoniche. Tutti questi tasselli, elegantemente incastonati, donano fluidità all'intero “mosaico” e l'ascolto procede in maniera gradevole per tutta la durata del disco, un'ora circa. E' il violino ad aprire le danze e a regalare qualche istante di dolcezza prima d'imbattersi in una vera e propria cavalcata su di un ritmo forsennato che si placherà solo in seguito, quando la chitarra di Jacob ricondurrà poco a poco il tutto sui primi passi intrapresi all'inizio in questo brano d'apertura, “La suspension ethéréenne”. Passo dopo passo (“Pas à pas”, appunto) i toni s'inaspriscono con l'ausilio di suoni elettronici vorticosi, ma ci proiettano nel giro di pochi minuti in un clima più gioioso e divertente, dal sapore settantiano. Inevitabile, in questa “Induction magnétique”, fare riferimento a Gong e Caravan, mentre a tratti le oscure tastiere rimandano alla mente il Leviatano di Annot Rhul. Doveroso porre l'attenzione sulla sezione ritmica, sempre ben pronunciata e puntuale su cambi e arresti improvvisi, e sulle linee di chitarra e violino che giocano un ruolo determinante, specialmente in brani come “Escamotage”. La conclusione di quest'album è bella quanto il suo inizio, forse anche di più. “Judith coupeuse de tête” parte con morbide tastiere che fluttuano in un clima ovattato, dal ritmo cullante di una poetica ninnananna, resa ancora più amabile dall'ingresso della delicata chitarra acustica, finché un crescendo di ritmo e suoni sempre più impetuosi culminerà, con il Mellotron in bella evidenza, in un finale fastoso. In definitiva c'è poco da rifletterci su: il lavoro di questo duo francese è davvero un buon compromesso fra modelli di riferimento del passato ed esigenze ed estro contemporanei. E soprattutto, cosa ancora più importante, emoziona. Per questo lo consiglio caldamente.
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Silvia Giuliani
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