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M-OPUS |
1975 Triptych |
autoprod. |
2015 |
IRL |
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A quante band sarebbe piaciuto nascere con qualche decina d'anni d'anticipo e magari proprio negli anni Settanta, periodo d'oro del nostro genere musicale di riferimento? Ecco quindi che il polistrumentista Jonathan Casey (qui cantante solista, tastierista, chitarrista e bassista), meglio noto per aver suonato in due dischi della David Cross Band, assieme ai compagni Colin Sullivan (chitarra) e Mark Grist (batteria) gioca a far finta di aver pubblicato un album proprio nel 1975 (ecco quindi che vi spiegate subito la presenza di tale anno nel titolo di questo esordio discografico) al quale si sa già che seguirà una seconda opera, uscita per finta nel 1978. Ovviamente si tenta di immedesimarsi il più possibile nello spirito dell'epoca e lo sforzo è tale che viene persino composta una lunga suite centrale di ben trentatré minuti (“Different Skies”), preceduta da un pezzo di apertura di 7 (“Travelling Man”) e seguita da uno di chiusura appena più lungo (“Wasps”) di 9 minuti e mezzo, per la precisione. Proposito ambizioso, oserei dire, e anche pieno di insidie... per quanto bene si possa fingere, il senno del poi, a livello più o meno conscio, sarà sempre lì in agguato, pronto a guidare e condizionare le nostre scelte: è fisiologico, non ci si può far nulla. Ma stiamo al gioco senza troppi patemi ed ascoltiamo pure a cuor leggero questo pseudo album anni Settanta... Beh, i riferimenti ai mostri sacri dell'epoca si percepiscono fin da subito. Le tastiere pletoriche mi fanno pensare molto agli Yes, certe melodie, negli ambiti più sinfonici, invece offrono richiami Genesisiani non troppo velati, altre volte a prevalere sono gli elementi Floydiani, specie nelle sequenze di maggiore atmosfera e respiro, le belle dinamiche strumentali invece e la parte ritmica in particolare odorano forte di Rush, anche se, ohi ohi, non proprio quelli di “Fly By Night”... e in effetti un sound così tirato a lucido e certi manierismi mi fanno pensare, a livello generale, quasi a qualcosa di più tardo, anche per quel che riguarda la componente Yes. Forse però non mi focalizzerei troppo su quanto questo CD possa effettivamente sembrare un parto del 1975: essere troppo puntigliosi potrebbe sciupare un'esperienza di ascolto comunque piacevole. La traccia di apertura è quella più manieristica in assoluto: non solo le tastiere ma anche chitarra e basso sembrano disposti a tutto pur di somigliare a qualcosa degli Yes, periodo "Yes album", oserei dire. Soltanto la voce solista si permette di non andare in quella direzione assumendo una timbrica a volte non del tutto piacevole. La suite invece ci proietta istantaneamente in ambito Floydiano, o meglio Gilmouriano, con i suoi scenari liquidi e crepuscolari... Ma per fortuna il pezzo non segue a lungo questo sentiero apparendo decisamente meno scontato di quanto potesse sembrare in un primo momento. Situazioni musicali ed influenze si mescolano in modo decisamente più creativo con un modo di fare eclettico che mi fa pensare a qualcosa di americano. Qua e là percepiamo sprazzi di Kansas, Rush e ancora Yes ma i riferimenti non sono più così puntuali. Se questo disco fosse uscito davvero nel 1975 sarebbe stato in un certo senso miracoloso perché avrebbe anticipato i tempi! La traccia di chiusura è solo un accessorio futile: ripetitiva e lenta, a tratti psichedelica, ma sta attaccata lì come una specie di coda. Beh, nel bene e nel male direi che ci siamo divertiti. La sostanza c'è e le idee non mancano anche se di miracoli neanche l'ombra... Non ci resta che aspettare il 1978.
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Jessica Attene
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