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MINDGAMES |
Paradox of choice |
autoprod. |
2015 |
BEL |
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Col nuovo album dei Mindgames torna prepotentemente il new prog, quello dei Marillion, dei Pendragon e degli IQ. Sembra che 30 anni non siano passati e piombiamo improvvisamente in pieni anni ’80 con la creatura guidata da Bart Schram. Non è certo una sorpresa, dato che i Mindgames sono al loro quarto album e non è che prima di questo si dedicassero al RIO/Avant Prog…! In molte tracce assistiamo a una sfrontata ed intenzionale riproposizione di quei suoni e c’è di buono che, se negli anni non sono avvenuti molti cambiamenti stilistici da parte della band, quanto meno si sono di molto accresciute le capacità tecniche e compositive, facendo sì che gli ultimi lavori, compreso questo, siano comunque degli album ben realizzati e validi dal punto di vista strumentale. Per questo “Paradox of Choice” registriamo peraltro l’ingresso in line-up dell’italiano Sandro Starita alla chitarra, il quale non si esime dal prodursi in diversi assoli all’interno delle 8 tracce e dal farsi efficacemente sentire; da buon italiano, Sandro vede anche bene di suonare qua e là il mandolino (e vai di luoghi comuni…!). Il cantato di Schram è quanto di più new Prog ci possiamo aspettare, sulla linea di Nick Barrett, Stu Nicholson dei Galahad o anche Jester dei Deyss, ed anche le tastiere di Tom Truyers ricordano il Mark Kelly d’annata e a volte Clive Nolan. Insomma… se dal versante originalità abbiamo ormai già abbondantemente visto che i Mindgames sono molto deficitari, cosa ci troviamo ad ascoltare, in quanto a bellezza e riuscita dell’album? Ci troviamo 8 tracce di lunghezze variabili tra i 4 e gli 11 minuti, la prima delle quali (“The Whistle-Blower”) sembra uscita direttamente dai demos di Pendragon, Chemical Alice o Tamarisk. La successiva “The Age of Plenty” è il brano più lungo del lotto e un po’ ricorda anche i Pallas o i primi Arena. L’uso e anche l’abuso di stereotipi new Prog è un fattore comune di questa band e anche quest’album non fa eccezione; se si è allergici a certe sonorità e soluzioni musicali, è il caso di rinunciarvi già in partenza. L’andamento delle canzoni è spesso brillante e up-tempo, come nella traccia summenzionata traccia d’apertura o nell’allegra “Revenge of the Wizard”, con alcune virate quasi Prog-Metal, comunque mai eccessive. Altre volte l’incedere è più calmo, ma a volte è solo la quiete prima del temporale, come nella pendragoniana “Requiem for a Dancing World”, che si sviluppa in un lungo crescendo, altre volte invece possiamo ascoltare una ballad più rilassante (“Out of Sight”, “Context? Anyone?”). E’ solo un breve momento di quiete, prima della coppia di lunghe tracce finali: “The Sands of Time”, sinceramente un po’ anonima, e “From a Drone’s Perspective” che invece chiude positivamente l’album con un brano eclettico (curiosa e atipica la chitarra funky…). Non resta che riaffermare quanto già accennato in precedenza: “Paradox of choice” è un album gradevole con cui gli amanti di certe sonorità possono andare tranquilli e godersi un’ora di new Prog senza tanti compromessi, ben realizzato e anche ben suonato.
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Alberto Nucci
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