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INGRANAGGI DELLA VALLE |
Warm spaced blue |
Black Widow Records |
2016 |
ITA |
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Gli Ingranaggi tornano dopo tre anni dal debutto e dimostrano di essere diventati ancora più complessi. Accanto a Mattia Liberati (tastiere), Marco Gennarini (violino), Flavio Gonnellini (chitarra) e Shanti Colucci (batteria) entrano in gioco il bassista Antonio Coronato, l’altro chitarrista Alessandro Di Sciullo (che si occupa anche di mellotron vari) ed il nuovo cantante Davide Savarese. La band romana, oltre ad essersi ampliata con una certa evidenza, sostituisce il prog duro misto a spunti jazzati degli esordi con una musica dall’approccio meno immediato. Non a caso, l’oscurità sembra permeare l’intero lavoro, sia che essa appartenga al cosmo più remoto, agli abissi più profondi o all’inconscio umano che può essere (parzialmente) esplorato solo con dei sogni frammentati ed inquietanti. Il cantato in italiano ha fatto posto alle metriche in inglese, espresse con una voce potente che viene sfruttata come se fosse un altro strumento con cui integrare la densità della nuova proposta musicale. Tra le varie “visioni” di questo spazio abissale e a volte ultraterreno, c’è quella di Cthulhu, il mostro alieno (venerato come un dio) della mitologia di H.P. Lovecraft, scrittore statunitense capace di creare quelli che corrispondono nella visione di Jung a dei veri e propri archetipi delle paure umane. A colui che era uno dei “Grandi Antichi”, viene dedicata una specie di suite divisa in tre parti e disseminata lungo tutto l’album. Il primo pezzo è posto all’inizio, con i nove minuti di “Call for Cthulhu: Orison” che cominciano lentamente, come una perfetta colonna sonora che fa da tanto quieto quanto inquietante preludio a qualcosa che sta per arrivare dalle stelle. Una musica che va prendendo man mano forma, sempre più convincente grazie alla perfetta fusione degli strumenti, l’uno nell’altro, in cui si possono però distinguere il pianoforte ed il basso vibrante dell’ospite Fabio Pignatelli dei Goblin, che contribuisce a connotare la riesumazione dell’Oscurità astrale. La voce, convinta e acuta, entra dopo almeno sette minuti, annunciata dal picco di tensione dell’organo Hammond e a cui faranno poi seguito gli intrecci delle chitarre. A dire il vero, in questo lavoro non c’è poi molto spazio per le sfuriate soliste, previlegiando – come detto – il lavoro di insieme. Un inizio immediatamente oscuro anche per i dieci minuti di “Inntal”, che poi lascia il passo alle vecchie reminiscenze jazz e anche un po’ folk, prima di tornare nell’inquietante storia ambientata nella valle austriaca dell’Inn (Innsbruck), in cui un forestiero viene spinto dagli abitanti della valle a ricercare il fantasma della vergine che emerge dalle acque del fiume. Per poi realizzare d’essere proprio lui la vittima del sacrificio annuale in onore della ragazza stessa. Il violino, la voce narrante di Florian Lechner… quello che attorno la fine del quinto minuto sembra un riferimento a “Larks’ tongue in aspic” dei King Crimson… l’impennata hard-prog, i turbinanti assoli finali… Tutti elementi che costituiscono forse l’episodio più complesso dell’intero lavoro, con risultati ottimi. Fase di tetra contemplazione con la quasi impalpabile “Call for Cthulhu: Through the stars”, prima di “Lada Niva”, che parla di un fantasma, dell’auto che aveva quando era in vita (una Lada Niva, per l’appunto) e a cui è rimasto legato. Un cantato sempre acuto e dissonante da cogliere anche in altre realtà “alternative” italiane, a cui però segue una lunga parte senza cantato, che anche stavolta potrebbe sembrare una specie di colonna sonora. L’inizio della strumentale “Ayida Wedo” sembra rubato a “Baba O’Riley” degli Who; il prosieguo sembrerebbe guardare nuovamente ai ‘Crimson, nonostante poi si proceda su una strada emozionale assolutamente propria. Si conclude con la terza ed ultima parte della suite, “Call fo Cthulhu: Promise”, dove si fa riferimento ad un prigioniero tenuto in isolamento, il quale si identifica con la divinità che giace nella città inabissata di R'lyeh, in Micronesia. La divinità aliena versa in un sonno simile alla morte, in cui però sogna e tramite l’attività onirica si mette in contatto con gli umani, che diventano i suoi adepti in tutto il globo (pare che i suoi sacerdoti tramino in Cina…). Quando uscirà di cella, il prigioniero mieterà la sua vendetta, così come gli Antichi, dopo l’allineamento favorevole delle stelle, si sveglieranno e faranno piombare la Terra nel caos selvaggio. Il pezzo è fatto molto bene, forse con l’atmosfera migliore, anche grazie al flauto traverso di Paolo Lucini degli Ezra Winston. Dopo un pausa di silenzio durante il brano, riprende l’inquietudine onirica che sale vertiginosamente di intensità. Grandi mutamenti all’interno degli Ingranaggi, quindi. Non sono diventati semplici da afferrare, da comprendere, ma loro girano più spediti che mai e pare che il meccanismo possa avere ulteriori margini di ottimizzazione. Bene così… e avanti tutta, magari sviluppando ulteriormente ciò che sembra rimasto abbozzato per via della sua grande complessità.
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Michele Merenda
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