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KNIFEWORLD |
Bottled out of Eden |
Inside Out |
2016 |
UK |
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Potremmo forse affermare che gli Knifeworld siano gli eredi più diretti dei Cardiacs, non solo perché il loro leader e fondatore, l’artista di origini iraniane Kavus Torabi, ne abbia fatto parte (oltre ad essere transitato anche tra le fila di Gong, Guapo e Monsoon Bassoon), ma per l’approccio musicale molto simile, ancorché non certo sovrapponibile. Il gruppo pare essersi guadagnato già un notevole seguito e questo è il suo terzo album in studio, oltre ad una manciata di EP. Il gruppo presente su quest’album è formato da 8 musicisti, con ampia presenza di fiatisti (sax e fagotto) e diversi cantanti, maschili e femminili. Il sound che andiamo ad ascoltare è molto pieno e ricco e riempie cospicuamente le casse; il genere musicale invece… beh, qui c’è un piccolo problema per trovare una giusta collocazione e descrizione. La musica degli Knifeworld è davvero un minestrone e ci troviamo tanti ingredienti, dal Prog sinfonico alla new wave alla psichedelia all’alternative rock… e anche tocchi di zeuhl e Canterbury, con mutamenti di umore e d’atmosfera costantemente dietro l’angolo. Troviamo continui richiami ai Cardiacs, come già detto, ed un sense of humour che pervade molte delle tracce dell’album che tuttavia di tanto in tanto lascia spazio ad atmosfere più cupe ed inquietanti, o addirittura schizoidi. L’ascolto non è certo dei più rilassanti, anche per questi motivi: all’interno dello stesso brano troviamo atmosfere cupe e minacciose che poi sfociano in melodie quasi elegiache e solari. La melodia non è molto frequente nelle note di quest’album, ma non mancano comunque di questi momenti; solo che sono inframmezzati e attorniati da esplosioni di follia controllata, sfuriate strumentali, con i fiati che paiono impazziti, o anche da atmosfere angoscianti e minacciose… o più semplicemente da momenti di rock più diretto e ritmato, anche se pur sempre arricchito dagli ingredienti strumentali di cui il gruppo dispone. L’album inizia e termina con le tracce più fruibili e accattivanti del lotto: “High / Aflame” è un bel pezzo che, dopo un’introduzione quasi solenne, diventa ritmato e trascinante, con fiati klezmer e un cantato evocativo ed entusiasmante; la conclusiva “Feel the sorcery” invece è più ordinaria e rockeggiante, sicuramente più radiofonica. Nel mezzo ci sono altre 9 tracce, alcune anche molto brevi, che ci accompagnano lungo i quasi 50 minuti totali di quest’album a tratti divertente, sicuramente strano e particolare, ma alla fine non particolarmente esaltante, anche se comunque più che piacevole.
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Alberto Nucci
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