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QUANTUM FANTAY |
Tessellation of euclidean space |
Progressive Promotion Records |
2017 |
BEL |
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Settimo album dal 2005 ad oggi (più due live ufficiali), il terzo per l’etichetta tedesca PPR, che sembra aver dato ulteriore spinta alla space-rock band fondata dai belgi Jarno (basso) e Pete Mush (tastiere), a cui continua ad accompagnarsi il batterista Gino Bartolini. Uno stile che li ha sempre portati ad essere inequivocabilmente definiti cloni degli Ozric Tentacles, tanto che per il precedente lavoro figurava tra gli ospiti proprio Ed Wynne, chitarrista e mastermind assoluto della famosa entità “spaziale” britannica. C’è comunque da dire che, proprio a partire dall’ingresso nella label teutonica, il gruppo belga ha pian piano inserito dei nuovi elementi con cui distinguersi in qualche modo dal modello principale, anche se il riferimento continua ad essere sempre il medesimo, fatto oggettivo che non può essere in alcun modo contestato. Probabilmente, il principale elemento di differenziazione lo si può individuare nelle partiture soliste di Tom Tas, che con questa uscita è giunto già al secondo album consecutivo in casa Quantum Fantay, sostituendo lo storico chitarrista Dario Frodo. È un modo di suonare le sei corde sicuramente diretto, senza effetti, echi e “ronzii” tipici del settore, creando così un buon contrasto con i sintetizzatori del leader Peter Mush totalmente dediti al genere. Occorre aggiungere che lo stesso Mush, oltre ad eseguire riempimenti a suon di “bolle marine” come hanno fatto tutti i tastieristi transitati negli Ozric, si concede fasi soliste molto più lunghe e articolate rispetto ai suoi colleghi, contribuendo così a creare qualcosa che va ad assumere una propria (seppur parziale) connotazione. Si sono inoltre aggiunte due figure femminili, entrambe ai fiati: Jorinde al flauto e Nette Willox al sax. Quest’ultima compare meno, lasciando invece al flauto un ruolo da protagonista come del resto accadeva anche in passato. Detto ciò, il sassofono, quando fa la sua apparizione, crea sicuramente un flavour da psichedelia settantiana, risalendo così alle parti strumentali più ispirate dei Gong, cioè lo storico gruppo che a sua volta era stato ispiratore dello stesso Ed Wynne. Un effetto da ascoltare nell’iniziale “Tessellate”, giocato con il flauto e il sintetizzatore, prima dell’assolo conclusivo ad opera di Tas. Rimangono una costante i ritmi veloci contraddistinti da passaggi rapidi di batteria, intervallati poi da andamenti reggae trasfigurati da effetti cosmici in cui il flauto compie le sue evoluzioni, lasciando poi il posto agli assoli di chitarra, come in “Manas Kavya”, confermando la tendenza a far concludere i brani (sempre tutti strumentali) con quelle che sembrano delle vere e proprie schiarite dopo tanto turbinare. Detto che “Astral Projection”, se non lo si sapesse, potrebbe tranquillamente essere spacciato per un pezzo estrapolato da album tipo “Aborescence” (inutile ormai dire pubblicato da chi…), “Skytopia” è una suite di circa venti minuti divisa in quattro parti. I momenti migliori sono da individuare in “Laputa” – in cui il flauto è molto presente e ci si distingue anche per l’uso della chitarra acustica immersa in effetti elettronici –, nella durezza di “Ignis Fatus”, che si conclude placidamente con i vocalizzi di Jorinde, e nella psichedelia di “Empyrean”, dove torna a farsi sentire il sax, in un andamento che va dal solito cosmic-reggae ad altri spunti più tendenti al blues. Chiude il vento solare di “Anahata”, che poi lascia riempire la scena conclusiva a chitarra elettrica e flauto. Anche questo è risultato un ascolto molto piacevole e ben suonato. Come al solito nulla di particolarmente nuovo e questo risulta essere uno di quei casi in cui non si sa cosa sarebbe meglio attendersi. Il sound rimane ancora il medesimo, quindi determinati discorsi ipotetici non hanno per il momento ragione di esistere. Un’ulteriore uscita in stile Ozric… ehm… Quantum Fantay, con una buona produzione in stile PPR. Per i fans più affezionati, va bene così.
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Michele Merenda
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