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INFRINGEMENT |
Transition |
autoprod. |
2017 |
NOR |
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Questa nuova band di Oslo ci offre, nel suo album di debutto, un’interessante e divertente combinazione di rock, Prog d’annata e new Prog che non ci fa certo gridare al miracolo ma che ci consente di passare piacevolmente questi quasi 50 minuti. Nati su impulso di un gruppo di amici in una fredda sera di novembre del 2015, gli Infringement includono fin dall’inizio tra le proprie fila l’ex (ex?) chitarra dei The Windmill, Stig André Clason, aggiungendo in seguito altri ospiti tra cui Arild Broter dei connazionali Pymlico o addirittura Clive Nolan il quale tastierizza in due tracce. In effetti la musica che ci viene proposta ricorda non troppo da lontano gli Arena, anche se alcune sonorità ed ambientazioni delle 9 canzoni sono più reminiscente di un Prog più classico. Non c’è molto della malinconia e dei suoni crepuscolari tipici di molte bands norvegesi, lasciando spazio a brani dinamici e dalle ritmiche brillanti. Il brano d’avvio “Conception” ha un vago sapore U2, soprattutto per lo stile chitarristico. Un refrain efficace e una costruzione coinvolgente rende questo brano adatto potenzialmente ad essere un singolo efficace (non voglio dire di successo…). L’avvio di “Infancy” ha connotati più rock, con una chitarra dai riff distorti, ma la seconda parte strumentale è più complessa ed articolata, con escursioni fusion e funky. Su “Childhood” (l’album sembra svilupparsi come un concept album sulle varie fasi della vita di una persona) tastiere e chitarra ci guidano su momentanee atmosfere folk che fanno capolino attraverso il narrato musicale e un cantato dai toni drammatici. “Adolescence”, con le sue lunghe parti strumentali un po’ alla Pendragon, ci lascia tirare il fiato. La chitarra acustica della brevissima “Passage” ci introduce ad “Adulthood”, brano non molto efficace, con cantato e passaggi musicali un po’ forzosi. Midlife” è un brano interlocutorio, strumentale e con tenui accenni fusion, che prelude al pezzo più lungo (e, forse, il migliore) dell’album, ovvero “Patina”, dieci minuti drammatici e ricchi di pathos, con una prima parte strumentale caratterizzata da suoni pesanti che danno poi spazio a momenti più delicati (in cui appare anche una voce femminile) e un finale in crescendo tipicamente new Prog. Spazio infine per la breve conclusione di “Rebirth”, in cui si riprende il tema musicale precedente per una chiusura abbastanza teatrale. Un esordio interessante, si diceva; chi apprezza questo genere di Prog, ormai divenuto classico a dispetto dell’etichetta “new”, può senz’altro trovare più di un motivo d’interesse per questa nuova band nordica.
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Alberto Nucci
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