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INFRINGEMENT |
Alienism |
Crime Records |
2019 |
NOR |
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Di band Prog in Norvegia ne spuntano come funghi, come sappiamo, coprendo quasi ogni sottogenere della nostra amata musica. Di certo non si può dire che siano molte le band che suonano puro Prog rock sinfonico, con sonorità ed idee che le avvicinino al New Prog inglese piuttosto che alle oscure e brumose atmosfere nordiche di molti loro connazionali. La band stessa cita i Pendragon tra le proprie influenze principali, assieme a Camel, Genesis ed Arena (e posso confermare che questi riferimenti li possiamo trovare tutti). D’altra parte si tratta di una band fondata da Stig André Clason, ex chitarrista dei Windmill, altra band decisamente orientata sul Prog sinfonico. Assieme a lui in questa nuova avventura, che giunge qui al suo secondo album, ci sono il vocalist Hans Andreas Brandal, dalla timbrica potente, melodica e piacevolmente versatile, il tastierista Bård Thorstensen (nuovo arrivato), il batterista Kristoffer Utby (anch’egli dai Windmill) ed il bassista Espen Larsen. Quest’album, che non è molto lungo (come ormai consuetudine in Norvegia, i dischi vengono prima di tutto pensati per la versione in vinile), è suddiviso su quattro tracce sulle quali spicca senz’altro l’ultima che arriva a sfiorare i 17 minuti. Si tratta di un concept che è ispirato dall’osservazione dei pazienti di un ipotetico Gentmire Institute, istituzione all’avanguardia delle cure psichiatriche. I brani più lunghi sono a parer mio anche i migliori, carichi di intensità e di cambi di tempo complessi e di parti musicali eclettiche; si tratta di “Triad”, che si estende per 10 minuti e mezzo, e della conclusiva “Delirium”. La prima delle due raggiunge vette forse maggiori, centrando perfettamente il concept dell’album e sviluppandosi attraverso tre parti, con momenti melodici che vengono più volte disturbati dalle insanità mentali ben descritte musicalmente e vocalmente dai musicisti. La seconda prende invece il suo tempo per svilupparsi, con una prima parte decisamente convenzionale e senza grossi sussulti, prima di incominciare lentamente a decollare. Il finale è accattivante e decisamente new Prog (a metà strada tra Arena e Pendragon), di quelli che, se si è apprezzato il disco, induce a riascoltarselo immediatamente. I due brani più brevi sono certamente più lineari: sonorità ampie con atmosfere ed assonanze new Prog per “Disorder”, che è posta in avvio, elettronica a supporto di un comunque discreto brano più orecchiabile per i 4 minuti e mezzo di “Therapy”. Un buon album, dunque, gradevole per tutti ma decisamente consigliabile se prediligete il Buon Vecchio Prog Sinfonico.
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Alberto Nucci
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