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OZONE PARK |
Fusion rebirth |
Emme Record Label |
2017 |
ITA |
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Sembra che si stia verificando un ricambio (in parte anche generazionale) di band dedite al progressive rock in Sardegna. Se nel nord dell'isola ad aver fatto parlare di sé nel 2018 sono stati gli Overture, dediti ad un ottimo prog di stampo classico, a sud la direzione intrapresa si è spostata decisamente verso un jazz rock abbastanza contaminato. Le band interessate sono almeno due, gli Ozone Park e gli SVM, ed entrambe hanno dimostrato la propria bravura in una doppia esibizione durante il festival In Progress One a Sestu lo scorso settembre. Chi era presente alla serata ha potuto apprezzare la differenza di approccio dei due gruppi, rilassato e goliardico da parte degli Ozone Park (che si sono presentati sul palco indossando delle tute in stile Super Mario), più hard e nervoso da parte degli SVM. A parte la diversità della proposta, non è stato difficile scorgere due evidenti tratti in comune: la notevole qualità della musica e la bravura dei musicisti. Ci occupiamo in questo caso degli Ozone Park. Il gruppo, nato durante i tempi morti di un seminario jazz seguito dai musicisti a New York, ha dichiarato le proprie intenzioni producendo dopo appena un anno un album il cui titolo dice (quasi) tutto: "Fusion rebirth". Come spiegato (in inglese) nel libretto del cd, l'intento originario era di recuperare le atmosfere di un certo tipo di sound degli anni '70, spaziando dalla Fusion al Progressive. Il risultato è un efficace ibrido che ha il sapore di qualcosa ancora in evoluzione, già personale e valido ma dagli sviluppi potenziali ancora notevoli, considerando che la situazione della band è al momento già cambiata. "Fusion rebirth" è stato creato da una formazione a quattro abbastanza atipica, con tastiere, percussioni, sassofono e batteria a spartirsi lo spazio (non è presente un bassista, ma le tastiere di Giuseppe Chironi sopperiscono a dovere), che da qualche tempo si è ridotta a tre elementi con la perdita dei fiati e il conseguente mutare degli equilibri sonori. Nel disco l'amalgama ottenuto è notevole, anche se nelle tracce si notano alcune differenze stilistiche. Il brano d'apertura, "Bocius", è sbilanciato verso la fusion ed il jazz-rock, grazie al sassofono ed al piano elettrico che dominano la scena sopra la base ritmica. Lo stesso si può dire per "78 game" e "Blue glass", ma è negli altri brani che la vena progressive emerge in maniera più evidente. "Fusion rebirth", "Kimberly dreams", "El niño de Cuba", "Last train to Sausalito" e "Winter drops" raccontano, ciascuna a proprio modo, la musica degli Ozone Park, passando da atmosfere rilassate a momenti furiosi, da momenti quasi rock a contaminazioni latine che rimandano agli storici Azimuth. A parte queste differenze, l'album ha un sound molto omogeneo, segno che l'indirizzo stilistico è già ben sviluppato e personale. Personalmente ho apprezzato molto l'ariosità delle composizioni ed il modo di suonare equilibrato e non invadente degli strumenti. Chi ha avuto modo di vedere recentemente il gruppo dal vivo ha certamente notato che esso si esprime in questo contesto in maniera ottimale, anche in formazione ridotta. Con soli tre elementi viene dato ancora più spazio dato alle percussioni ed al vibrafono di Gianluca Cossu, mentre gli arrangiamenti dal sapore più compatto rendono la musica, se possibile, ancora più progressiva. "Fusion rebirth" è un ottimo album d'esordio. Sarebbe un peccato se gli Ozone Park restassero limitati ad un ambito locale, dato che la loro proposta, le capacità tecniche ed il modo di proporsi dal vivo hanno chiaramente una portata molto più ampia. Per il momento, la promessa di molti altri dischi scritta nel libretto del cd lascia ben sperare.
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Nicola Sulas
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