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RUPHUS |
New born day |
Polydor |
1973 (Karisma Music 2019) |
NOR |
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Abbiamo finalmente fra le mani la ristampa di uno dei migliori album della scena Prog norvegese che giunge ad omaggiare un gruppo che è stato a tutti gli effetti un punto cardinale per il nostro genere nelle fredde terre dei fiordi. Una primissima versione su CD la curò la Pan Records nel 1993 ma si tratta di un’uscita che ha fatto decisamente il suo tempo ed ecco che questa ristampa porta nuovamente alla luce un album particolarissimo e di gran valore, seppure grezzo ed immediato per certi aspetti, e la musica risplende anche grazie al lavoro di masterizzazione di Jacob Holm-Lupo (White Willow) che ha potuto mettere le mani sui nastri originali. L’album sarà disponibile anche in una limitatissima edizione in vinile blu che conterà soltanto 500 esemplari e sarà seguito dalla riedizione di tutti i capitoli della discografia della band che è già pronta a calcare nuovamente il palcoscenico per un grande concerto promozionale. “New Born Day” nasce in una casa vicino Trondheim dove il gruppo si rinchiuse per un mese intero prima di entrare in studio col produttore Stein Robert Ludvigsen. La formazione, numerosa, comprendeva sette elementi dei quali soltanto due, il chitarrista Kjell Larsen ed il bassista e flautista Asle Nilsen, saranno costantemente presenti in tutte le produzioni della band (sei in totale quelle ufficiali in studio dal 1973 al 1979). Oltre a loro ricordiamo Hans Petter Danielsen alla chitarra, il compositore jazz Håkon Graf all’organo, al piano e al vibrafono e Thor Bendiksen alle percussioni. In questa primissima versione i Ruphus avevano ben due voci soliste, una femminile, incredibilmente potente e di grande appeal, quella di Gudny Aspass, ed una maschile, piacevole ma purtroppo di minor spessore, più flebile e monocorde, quella di Rune Sundby che suonava anche il sax e le chitarre acustiche. E’ proprio il grande carisma di Gudny a rendere unico questo album ruvido e prezioso che svela grandissimi potenziali facendo leva sull’entusiasmo di musicisti che sono impazienti di mostrare tutte le loro capacità. L’esordio dei Ruphus è costruito su una imponente matrice hard rock dalle profonde venature blues che si disgregherà col tempo, lasciando dapprima spazio ad un album più profondamente prog come “Ranshart” (1974) per far poi emergere tratti più marcatamente jazz rock come quelli di "Let Your Light Shine" (1976), prodotto dal leggendario Terje Rypdal. “Coloured Dreams”, la traccia di apertura, entra con forza nei nostri padiglioni auricolari e la voce dirompente di Gudny si muove su un tappeto di Hammond e riff decisi di chitarra. L’impatto è convincente ma questa formula, che ci fa pensare più che altro agli Uriah Heep, ci lascia intravedere solo in parte le fantastiche evoluzioni che ci attendono oltre. La chitarra acustica, che apre gentilmente “Scientific Ways”, ci fa assaporare già altri scenari. La voce è quella di Rune e se ne apprezzano purtroppo i limiti ma è proprio quando Gudny entra in scena che i giochi si fanno interessanti: si aggiunge una sezione ritmica articolata intrecci strumentali che potrebbero ricordare un po’ i Gentle Giant per un brano dalle ampie aperture melodiche e sinfoniche e dalla scrittura tutt’altro che lineare. L’incipit esplosivo di “Still Alive” ci coglie quasi alla sprovvista. A tuonare è l’organo Hammond di Håkon Graf. Il basso è in primo piano con echi Crimsoniani e scenari quasi Horror impreziositi da sax e vibrafono. “The Man Who Started it All” inizia col piano romantico cui fa eco il flauto ed i toni diventano gradualmente più drammatici ed incalzanti. “Trapped in a Game” è illuminato letteralmente dalla performance di Gudny che sfida i suoi limiti spingendo sempre più in alto la sua voce. L’intermezzo di organo che taglia in due il brano potrebbe ricordare invece qualcosa di “Foxtrot”. “Trapped in a Game”, col basso in primo piano e l’organo in evidenza, gioca ancora su arrangiamenti complessi che ci riportano ai Gentle Giant. Il brano si giova ancora della splendida presenza di Gudny e questa volta affiorano connotati jazzy che rendono questo pezzo fra i meglio riusciti del lotto. “Day After Tomorrow” è il brano più lungo e forse anche il più complesso dell’album e si fa notare per le magnifiche progressioni d’organo e per le aperture sinfoniche con riferimenti a Yes ed EL&P. Tre membri, la coppia di cantanti ed il chitarrista Hans Petter, lasceranno il gruppo dopo la registrazione di questo disco e per il nuovo "Ranshart" verrà reclutato un nuovo cantante, Rune Østdahl. Ma questo è un nuovo capitolo che spero riscopriremo presto assieme se la Karisma resterà fedele ai suoi propositi.
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Jessica Attene
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RUPHUS |
Ranshart |
1974 (Karisma Records 2019) |
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