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ERIS PLUVIA Tales from another time AMS Records 2019 ITA

La band ligure degli Eris Pluvia, attiva, con diverse formazioni, da quasi trenta anni, sembra proprio averci preso gusto e, a soli tre anni, dall’ottimo “Different Earths”, si ripresenta con sessanta minuti di musica inedita. La line-up per “Tales from another time” (questo il titolo del nuovo lavoro) è rimasta immutata con la sola eccezione dell’aggiunta di Ludovica Strizoli, vocalist in “La chanson de Jeanne”. Anche il sound generale è a grandi linee “figlio” delle esperienze precedenti, con le immancabili atmosfere bucoliche, i richiami floydiani della chitarra di Cavatorti e ai Camel nelle suggestioni complessive. Si è aggiunto in questo nuovo lavoro un pizzico di elettronica mentre sempre qualche perplessità lascia il suono della batteria così “diretto” e parco, invece, di quelle sfumature che avrebbero arricchito il prodotto finale. Ciononostante, l’album acquisisce un maggior fascino, ascolto dopo ascolto.
Sei i brani, tre dei quali di lunga durata e tre, invece, intorno ai cinque minuti (di cui due interamente strumentali) compongono la raccolta. La parte del leone è affidata ai quasi diciotto minuti di “La chanson de Jeanne” (divisa in tre parti) cioè Giovanna D’Arco, una delle prime “eroine” e “donna forte” non proprio ben vista dalla società di allora. L’introduzione del brano è affidata alla chitarra “gilmouriana” di Alessandro Cavatorti, protagonista di un pregevole assolo che accompagna dapprima la voce di Roberto Minniti e poi quella di Ludovica Strizoli. La parte centrale è la più ricca di suggestioni: il flauto (Roberta Piras) e la chitarra acustica fanno da sfondo alle due voci, maschile e femminile, in uno dei momenti più riusciti dell’intero album. Il flauto conduce ancora il tema principale subito dopo quando affiorano anche momenti più sinfonici e rock che vedono ancora la chitarra, stavolta elettrica, in evidenza. Peccato per una batteria poco fantasiosa (spiace ripeterci…) che appiattisce non poco il brano, comunque buono.
Anche “The call of Cthulhu” ha un buon minutaggio e i pregi-difetti del brano precedente: inizio frizzante condotto dalle tastiere, una lunga sezione centrale strumentale, piacevoli guitar-solos, ma anche una ritmica appena accettabile ed un impianto melodico non eccelso. L’ultima pièce de resistance è “The hum”, posta in chiusura della raccolta: inizio sfavillante, una fase interlocutoria e soft, quasi una ballad, cui segue una lunga digressione strumentale con il flauto prima protagonista e poi di raccordo alle sfuriate degli altri strumenti. Peccato il repentino interrompersi del brano…
Più brevi, come si diceva, gli altri tre pezzi. “When love dies”, un grazioso strumentale dalle tinte pastello che sul finale schiude le ali e vola libero, ma sempre guardandosi, malinconicamente, le spalle. Una più articolata “ Lost in the sands of time” che alterna momenti lirici ad altri più rock con un paio di indovinati interventi di Cavatorti (raffinato anche alla slide guitar) e con una melodia finalmente convincente. Splendido l’altro strumentale, “Last train to Atlana”, preziosamente acustico con flauto, chitarra e batteria e basso appena accennati. Grande pezzo.
In definitiva un lavoro soddisfacente anche se, lo confessiamo candidamente, ci aspettavamo ancora di più. In particolare, come già accennato in precedenza, ci sembrano fuori fuoco il suono della batteria e, talvolta, delle tastiere (in alcuni casi, campionate), mentre non sempre i brani presentano un refrain vocale “forte” che possa fare da traino alle costruzioni sonore del gruppo. Limiti che, data l’esperienza dei protagonisti, crediamo possano essere sicuramente superati a partire già dal prossimo lavoro. Ce lo auguriamo sinceramente.



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Valentino Butti

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