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OVERHEAD |
Haydenspark |
autoprod. |
2018 |
FIN |
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Dopo prestigiose labels come Mellow Records, Musea e Progressive Promotion Records, i finlandesi, oggi ridotti a quartetto, decidono di tornare dopo circa sei anni, autoproducendo il loro quinto album. Non essendoci più il tastierista Tarmo Simonen, vengono accentuate ancor di più quelle scelte stilistiche del precedente lavoro: un prog che per lunghi tratti sembrerebbe più alternative o addirittura indie. Una scelta che fa passare pressoché inosservati molti brani, che per quanto ben eseguiti sono privi di qualsiasi picco emotivo. Gli assoli del chitarrista Jaakko Kettunen sono inizialmente in stile tipicamente metal “tendente al neoclassico”, a cui si aggiungono qua e là sparute iniziative di flauto per conferire originalità ai primi pezzi (interessante comunque la digressione ispanica nel finale di “Count Your Blessings”), ma è quando si fa ritorno ai vecchi stilemi prog che la band riesce a farsi maggiormente apprezzare. Esattamente come sul precedente “Of the sun and moon”, è a partire dal quarto pezzo – in questo caso la title track – che vengono tirate fuori le soluzioni migliori. La riattualizzazione dei Genesis ma anche di certo neo-prog di scuola Marillion sembra ancora riuscire bene ai nostri, per poi virare all’interno dello stesso pezzo a qualcosa di decisamente più rock inteso nel senso convenzionale del termine, grazie a Kettunen che si produce in un assolo con molto groove sulle sei corde (in questo lavoro si occupa anche delle tastiere) e al cantante Alex Keskitalo che quando si lascia andare suonando il flauto diventa davvero coinvolgente. Altro pezzo da segnalare è “Across the Nation”, una specie di ballata “alternativa” e strascinata in cui però Kettunen suona finalmente due assoli davvero notevoli, quasi in stile Guthrie Govan sugli album di Steven Wilson, assieme alla sezione ritmica formata dal batterista Ville Sjöblom e dal bassista Janne Pykkönen (al sax sulla più rockeggiante e divertente “King of the World”) che ben si disimpegna lungo partiture non certo semplici. “Death by Tribulation” ha un’evidente inflessione sabbathiana, forse fin troppo tirata per le lunghe, ma dove il breve assolo di flauto fa un’ottima figura (sarebbe stato meglio farlo durare di più e magari accorciare il brano). Risulta particolare la conclusiva “Gone Too Far”, che sembrerebbe aprirsi con un ritmo simil-danzereccio (abbastanza antipatico), ma tra flauto, chitarra pesante e sintetizzatori sporadici va acquisendo differenti connotazioni. Questa uscita pare che sia ispirata nei testi agli accadimenti mondiali degli ultimi tempi… Ma non avendo a disposizione il libretto, diventa arduo dipanarsi tra la moltitudine dei fatti significativi verificatisi. Come al solito, anche stavolta si è parlato di migliore uscita in assoluto, oltre ai vari superlativi che possono anche essere risparmiati. Che lo dicano i diretti interessati in fase di lancio del prodotto è normale, che lo ripetano a pappagallo anche tutti gli altri… beh… lo è decisamente meno. I quattro finnici sono bravi davvero e non lo si scopre certo adesso, ma le scelte stilistiche continuano a lasciare perplessi. Ad oggi, peraltro, non si capisce bene dove vogliano andare a sbattere. Forse, però, questo “fluire” incostante vuole essere la decisione finale. Almeno per il momento.
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Michele Merenda
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