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OVERKIND Acheron Andromeda Relix 2019 ITA

C’erano una volta i veronesi Fatal Destiny, debuttanti nel 2015 su Andromeda Relix con “Palindormia”, discreto lavoro prog-metal che faceva ricordare la relativa scena italica negli anni ’90. Oggi, gli scaligeri cambiano nome e si ribattezzano OverKind, con il solo cambio di Nicolò Fracca alla batteria. Per il resto, non essendoci più un tastierista di ruolo, il cantante Andrea Zamboni stavolta si occupa anche delle partiture di pianoforte, mentre Riccardo Castelletti e Filippo Zamboni continuano a suonare rispettivamente chitarra e basso. Ben prodotti da Simone Mularoni, chitarrista dei maggiormente noti DGM, gli OverKind – come da monicker – si prefiggono di andare oltre gli stili musicali e lo fanno con un concept che parla della discesa di Dante negli inferi, concentrandosi soprattutto sulla figura del fiume Acheronte. Una vera e propria entità silente su cui si viene irrimediabilmente traghettati, prima di imbattersi in figure emblematiche come Caronte – con cui Dante ha un significativo dialogo – o come Cerbero. Diciamo che stavolta il contenuto musicale suona molto più metal tout-court e il sound risulta molto più compatto. Il voler andare oltre il singolo genere, però, fa sì che l’opera pecchi di omogeneità e a volte risulti un po’ dispersiva.
La title-track si apre con l’acqua inquietante e limacciosa del fiume che viene solcata dalla barca di Caronte. Metal, si diceva… Sì, perché il riff quadrato e massiccio lo è assolutamente ed il ritornello orecchiabile ricorda i Metallica di “Load” (1996) e soprattutto “ReLoad” (1997). Una lezione assimilata piuttosto bene, con l’aggiunta di passaggi strumentali decisamente più complicati rispetto a quelli della band statunitense. Con queste medesime premesse si prosegue verso il secondo cerchio, quello dei Lussuriosi, dove in “Love Lies” ci si imbatte ovviamente in Paolo e Francesca. Pezzo più sofferto, meno lineare e dove alla fine si finisce con l’esagerare sciorinando acuti vocali. Acuti che aumentano man mano che si scende nel terzo girone (i Golosi), dove “Cerberus” mostra un rock stavolta più radiofonico (anzi, da autoradio!) che avrebbe felicemente chiuso qualcuna delle puntate che finiscono bene (perché non tutte si concludono così…) della serie “Supernatural”. Uno stile che si protrae nel breve interludio di “Circle IV”, mentre si attraversa velocemente il cerchio degli Avari, per ritrovarsi repentinamente in quello degli Iracondi; “Angel Fades” somiglia molto al primo pezzo, anche se viene lasciato spazio ad una specie di riflessività, in cui monta la rabbia repressa per l’ingiustizia subita, chiudendo innanzi tutto con dei controtempi in stile primi Dream Theater e poi con una curiosa fase solista di basso che va sfumando.
Si passa così ad un nuovo cambio di registro, seguendo quello delle ballatone; in “Flames” (dovrebbe essere il cerchio degli Eretici) le fiamme crepitano e si prende coscienza della reale natura delle guerre e di chi vi sta dietro, mentre Zamboni canta in modo molto simile a James laBrie e Castelletti si produce in un ottimo assolo che si lascia dannatamente ascoltare. Anche qui la musica va sfumando, proprio come accadeva in quei brani che hanno fatto la fortuna di band dure dal cuore morbido come Tyketto o Gotthard. “Hollow Man’s Secret” ne è la naturale continuazione, anche se già si è arrivati nella zona dei Violenti, un cerchio strutturato stavolta su tre brani. “My Violent Side” persiste sulla medesima linea, dove la presa di coscienza della propria violenza viene narrata sulle note di pianoforte. “All is Grey” torna però a pestare duro e si sale con acuti in stile Andre Matos, oltre a passare in un intermezzo simile a dei Wishbone Ash in chiave metallica. Sarà perché ci si ritrova nel cerchio dei Fraudolenti… ma si segnala che “End of a Souless Thief” suona simile a “Rain” dei Guano Apes in maniera impressionante! Giunti comunque sul fondo dell’Inferno, rimane solo il cerchio dei Traditori e così, dopo “Traitor’s Letter” solo per pianoforte (vengono in mente certe atmosfere solitarie dei Time Machine in “Act II: Galileo”), si torna a pestare e ad arrovellarsi con la conclusiva “The Fiend – Tales of Ordinary Madness”.
Questo (secondo) esordio lo si ascolta piacevolmente. Permangono comunque gli appunti mossi all’inizio, nonostante si tratti di elementi fortemente voluti dalla band stessa per connotare il lavoro in esame. Non volendo scomodare un mosto sacro come Geoff Tate, si potrebbe fare però riferimento al James laBrie di “Scenes from a memory” (2001), cioè a un vocalist noto per le sue note acute ma che in quel contesto – tanto per rimanere nelle tematiche sia ultraterrene che metaforiche – è riuscito a dare varietà alla storia con tonalità diversificate. Oppure, andando oltre il prog-metal, ci sarebbe un certo Brad Delp (rip), che nei suoi Boston, pur caratterizzando le relative canzoni con falsetti acuti, donava colore alle musiche con repentini cambi di tono. Si ribadisce che qui c’è più metal che prog e rispetto a quest’ultimo c’è forse anche più rock mainstream. Detto questo, si saluta con simpatia il ritorno sotto altra forma di questi ragazzi scaligeri.



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Michele Merenda

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