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IAMTHEMORNING The bell Kscope Music 2019 RUS

Avevamo lasciato appena un anno fa Marjana Semkina (voce) e Gleb Kolyadin (piano) in un’isola dei mari del nord alle prese con “Ocean Sounds”, live in studio che faceva da apripista per questo nuovo album con una canzone, “Blue Sea”, che ne avrebbe anticipato idee e contenuti. Atmosfere ed emozioni, scrivevo, prevalgono sulla ricchezza dello spartito e in qualche modo si poteva già intuire come il contesto di solitudine e poesia dove era nata quella composizione si sarebbe riversato nei nuovi pezzi.
“The Bell” appare ancora più sfumato e fragile rispetto ai suoi tre predecessori e le atmosfere giocano un ruolo chiave rispetto ad una impalcatura strumentale come sempre sofisticata e ben curata ma di impatto più modesto rispetto al mood complessivo dell’album. Ascoltare questo disco di giorno, con la luce del sole ed i rumori ambientali che testimoniano lo scorrere della vita nella sua quotidianità, o farlo di notte, quando tutto appare immobile ed i sentimenti, specie quelli più cupi, si dilatano a dismisura, è un’esperienza totalmente diversa. Col silenzio delle tenebre si riesce ad entrare meglio in sintonia con melodie sfumate e sognanti, con la voce fredda e splendida di Marjana, con orchestrazioni minute e perfette ma spesso distanti. Il che non è un modo gentile per dire che si tratta di album noioso, come effettivamente a qualcuno è sembrato, ma qualcosa di poetico con cui entrare intimamente in sintonia.
L’opera si compone di due sequenze separate, ognuna di cinque pezzi, secondo la forma del ciclo moderno delle canzoni di Schubert. Il tema centrale è la crudeltà ed ogni brano racconta, con testi allusivi incentrati sugli stati d’animo, una storia diversa e a sé stante che mostra come si possa reagire a condizioni di dolore, violenza, ostilità ed abbandono. Uno sforzo introspettivo questo che ricorda l’ottimo lavoro di analisi di “Lighthouse” (2016) sulle vittime di suicidio e di disturbi mentali. Esteticamente vi sono puntuali richiami all’epoca vittoriana, a partire dagli abiti indossati dai nostri due protagonisti nella copertina interna del disco, mentre la campana del titolo, raffigurata in copertina, è quella della bara di sicurezza pensata per evitare i casi di sepolture premature, concept forse un po’ macabro ma che nasconde in realtà la possibilità di poter chiedere aiuto anche nelle condizioni disperate.
Come al solito, sono stati reclutati tantissimi musicisti e fra questi spicca sicuramente l’orchestra d’archi di San Pietroburgo “1073” che consta di ben 13 elementi. Troviamo poi 9 ulteriori ospiti che si dividono tra chitarra elettrica, tromba, fisarmonica, basso, batteria, sax, arpa e marimba, per un parco strumenti variegato che amplia gli orizzonti di un progetto musicale di ispirazione classica ed essenzialmente di stampo cameristico ma in cui le contaminazioni sono un autentico valore aggiunto.
Il primo brano “Freak Show” è dirompente sia dal punto di vista emotivo che strumentale: “a nessuno sembra importare che mi frantumo in milioni di pezzi, oh stanno semplicemente lì e mi fissano mentre mi frantumo ancora in milioni di pezzi”. La voce di Marjana regge il gioco psicologico con l’ascoltatore mentre la musica esplode e si ritrae per poi sfondare di nuovo e improvvisamente lo spartito. Nevrotica ed eclettica, con le sue sferzate cupe, questa traccia è forse fra le meglio articolate del’album. I brani che seguono sono più delicati: “Sleeping Beauty”, semplice, elegante ed essenziale, col cantato sussurrato e notturno ed il piano che offre pochi punti di luce ma che diviene superbo quando riesce a rubare la scena alla voce, “Blue Sea”, già familiare alle nostre orecchie, dai disegni melodici esili, con chitarra acustica e piano ed atmosfere intimistiche, “Black and Blue” in cui note ed emozioni sono intense ma centellinate con grande maestria. “Six Feet” chiude il primo ciclo con impalpabili atmosfere da sogno. Il piano e la voce sono uniti in un sospiro e le emozioni sgorgano sul finale in un crescendo crepuscolare e sinfonico trovando la complicità degli archi.
Il sipario si riapre con “Ghost of a Story”, pezzo sinuoso dai contorni poppish, forse insolitamente luminoso per il gruppo. Questo mood romantico e in un certo senso scherzoso spezza un po’ il ritmo di un album tarato su registri melodrammatici con un effetto rilassante. “Song of Psyche” è più distesa, con cadenze da ballad e umori malinconici che hanno il sapore della solitudine. Soprattutto in questa seconda serie di canzoni il piano torna grande protagonista e ce lo dimostra chiaramente un pezzo come “Lilies” dove si agita veloce regalandoci momenti di prezioso virtuosismo, con slanci solistici sul finale che finalmente, con la loro magnificenza, fanno scorrere il sangue con maggiore impeto. La voce di Marjana è teatrale e si libera su tonalità drammatiche attraversando partiture complesse e fragili al tempo stesso. Ancora in “Salute” il piano offre sequenze brillanti in un insieme musicale che esce finalmente dalla consueta dimensione intimistica per trasformarsi in qualcosa di più orchestrale, sfaccettato e comunicativo. Gli strumenti, fra i quali troviamo la fisarmonica, la marimba e la tromba, si intrecciano cercando incastri eleganti con cambi di scena e di ritmo. Il finale è affidato alla title track e qui le luci tornano a spegnersi su scenari di desolazione dove il piano riluce con la sua presenza delicata regalandoci piccoli ma significativi dettagli, spiragli di speranza per un’opera crepuscolare che sprofonda nei meandri più tenebrosi dell’animo umano.
Arrivati a questo punto chi ama e conosce il già gruppo non avrà trovato grosse sorprese in questo disco parsimonioso e misurato, nel suo complesso scorrevole, emozionante ma forse privo di slanci eccessivi. Una maggiore esuberanza nelle parti di piano, ad esempio, avrebbe trascinato l’album verso altri traguardi ma non era questo che gli Iamthemorning desideravano. L’obiettivo era quello di un album introspettivo e complesso sul piano emotivo più che su quello formale e le emozioni, questo è certo, non mancano.



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Jessica Attene

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