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MATER THALLIUM Mirroring whirlwinds LL Records 2019 NOR

Doveva essere una veloce avventura quella dei Mater Thallium, che esordirono nel 2013 come “costola” dei più noti Procosmian Fannyfiddlers con un lavoro eponimo, ma già dopo un anno arrivò il bis con “Abandoned by the Sun”. Per il terzo disco c’è voluto un po’ più di tempo, ma ecco che nel 2019 è la volta di “Mirroring whirlwinds”. Dal debutto in cui la proposta spaziava tra prog crimsoniano e doom à la Candlemass, la band ha continuamente rifinito la propria musica e giunge oggi ad un lavoro che, pur mantenendo imprevedibilità e quella vena di follia chiaramente ereditata dal “gruppo madre”, sembra più inquadrato e definito. Otto i brani presenti, che viaggiano tra i cinque e i sette minuti circa, con strutture di una certa complessità. Se la title-track che apre il disco mostra il lato più dark, con atmosfere stranianti abbinate a schizzi fulminei strumentali, conditi dal curioso accompagnamento di un “death trombone”, ecco che “Familicide”, con le sue combinazioni acustiche ed elettriche, suoni che richiamano il mellotron ed un cantato profondo, spinge più verso il folk-prog. “Desolation throne” parte con atmosfere da prog scandinavo, ma ben presto il sound si indurisce pesantemente e per tutta la durata del brano si alternano momenti pacati guidati da voce, tastiere e chitarre a bordate metal che portano a contrasti stravaganti, ma efficaci. Il prosieguo del cd vede queste caratteristiche protratte in continuazione, ma sempre con nuove mescolanze ardite ed un’interessante inventiva. Ci sono nuove aperture al folk-prog dove elementi cari ai Fairport Convention si sposano con atmosfere che rimandano agli Opeth (“Fading faces” e “Suffer the undead”), asprezze che sembrano collegarsi ai primi dischi degli Anekdoten (“Womb raiding”), echi di quel gothic che negli anni ’90 imperversava unendosi al rock sinfonico grazie al lavoro, tra gli altri, dei Tiamat e dei The Gathering (“Regaining sanity”), spunti classicheggianti “devianti” e “deviati” verso un hard rock a dir poco bizzarro (“Plaintive recurrence”). La ricchezza timbrica è un altro fattore che denota la buona qualità del disco, visto che al fianco della formazione base composta da Petter Falk (voce), Hakon Markussen (tastiere), Erik Andas (basso) e Geir Venom Larzen (batteria, percussioni, chitarre) troviamo ospiti al flauto, al citato death trombone, alle voci, alla viola e al violino. In definitiva una bella conferma per un gruppo che merita di essere seguito.



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Peppe Di Spirito

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