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DRIFTING SUN |
Planet junkie |
autoprod. |
2019 |
UK |
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Sesto album in studio per Pat Sanders ed i suoi Drifting Sun. Dopo la lunga pausa che ha separato la pubblicazione di “On the rebound” del 1999 e “Trip the light fantastic” del 2015, la band pare avere ingranato la quarta e “Planet Junkie” è il terzo album che viene dato alle stampe in quattro anni. Rispetto all’ultimo “Twilight” (2017) segnaliamo l’assenza del vocalist storico Peter Falconer che viene sostituito da… ben tre cantanti, ad ognuno dei quali sono affidati tre brani, mentre due sono gli strumentali. Detto di Manu Michael al basso, Will Jones alla batteria, di Mathieu Spaeter alle chitarre, del master mind Pat Sanders alle tastiere, completano la line up gli ospiti Sarah Skinner al sax, Eric Bouillette al violino, Conrad Cheng al clarinetto e Ben Bell allo Hammond. La scelta di tre “voci” si rivela scelta azzeccata e tutti gli interpreti sono promossi a pieni voti. Il primo ad entrare in scena è Marc Atkinson con “Within your bones”, brano frizzante impreziosito dal sax della Skinner e con il primo di una serie, sempre convincente, di interventi dell’elettrica di Spaeter. La title track è un brano sbarazzino con una ritmica sostenuta, con le tastiere di Sanders in pieno new-prog style, mentre più “dimessa” ed introspettiva “Missing”, ultima con Atkinson al microfono. “Life” è un breve, struggente, saggio di pianoforte di Sanders con dedica al padre scomparso. ”Night-time sorrow” (esordio del cantante Colin Mold) è un altro brano intimista per sola voce, piano e tastiere soffuse. Seppur più spigliata (importanti inserti di synth e chitarra), “Stay with me” mantiene anch’essa un retrogusto amaro e sofferto che caratterizza abbastanza “Planet junkie”. “To tame a star” si mantiene per una buona metà degli otto minuti di durata pacata e con un percepibile alone nostalgico ben evocato dalla voce di Mold e dal violino di Bouillette. Il brano spiega poi le ali ed i contributi di Spaeter, alternati a quelli di Sanders, conferiscono il giusto vigore al pezzo. “I will be king” è la seconda traccia strumentale della raccolta. Un andamento ipnotico guidato da chitarra e kayboards su ritmiche piuttosto sostenute. Non male. Con “Born of a dream” entra in scena Joshua Corum, l’ultimo dei tre vocalist di “Planet Junkie”. Introdotta dalle note del piano, la voce di Corum si posa delicata e suadente sul tessuto sonoro alla quale vanno poi ad aggiungersi il violino e la chitarra acustica. “Diogenes” non convince del tutto forse causa del pizzico di elettronica che suggerisce un mood un poco artificioso soprattutto nella prima metà, mentre il finale è molto più efficace, “griffato” ancora una volta da Spaeter. La mini-suite “Everlasting creed” è quella che più si avvicina alla produzione precedente della band: grintosa, vivace, melodica, insomma una (gradita) ventata di aria fresca. Si chiude qui un album “diverso” dai canoni Drifting Sun, molto più sofferto e senza dubbio condizionato dalle vicende personali di Sanders. Un lavoro”autunnale”, ma emozionante ed intrigante… forse proprio per questo.
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Valentino Butti
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