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LUCID DREAM The great dance of the spirit autoprod. 2020 ITA

Croce e delizia per la critica dell’universo prog, gli album orientati verso l’unione tra il progressive rock e lo heavy metal nel corso degli anni hanno mostrato tutti i loro limiti, derivanti soprattutto dal fatto che difficilmente si distaccano dalle proposte che i grandi punti di riferimento Dream Theater, Queensryche e Fates Warning portavano avanti già una trentina di anni fa. È sempre più difficile imbattersi oggigiorno in realtà che hanno quel quid in più grazie al quale riescono ad elevarsi rispetto a degli standard troppo spesso un po’ deludenti. I Lucid Dream sembrano uno di quei gruppi verso i quali prestare attenzione. Merito di un sound che sembra distaccarsi dall’imitazione pedissequa e che riesce ad evitare virtuosismi fini a sé stessi. La figura centrale della band è il chitarrista Simone Terigi che si occupa anche della composizione e attorno a lui scorgiamo anche figure di spicco che si sono fatte notare in anni recenti in diversi gruppi e progetti, come il tastierista Luca Scherani, il batterista PaoloPaolo Tixi e il cantante e bassista Roberto Tiranti. In questo loro quarto album (che rappresenta la chiusura di una trilogia), i Lucid Dream sembrano percorrere una strada non dissimile da quella seguita dagli Evil Wings a metà anni ’90. La base metal e i riferimenti ai Dream Theater abbondano, eppure la band riesce a deviare da sentieri troppo battuti e a mostrare la propria personalità. La maggior parte dei brani mostra una potenza di fuoco non indifferente e gli inevitabili cambi di tempo, evidenziando solidità e omogeneità. Non potevano mancare dei rallentamenti con soluzioni che portano a ballate eleganti, una composizione strumentale più epica e maestosa e qualche soluzione acustica (o semiacustica) dove si avverte anche l’elemento classicheggiante conferito dagli archi. In altri frangenti, invece, sono da segnalare spunti più vicini ai grandi nomi del power-metal come Savatage, Virgin Steele e Blind Guardian. Decisamente intriganti, poi, quei pezzi in cui emerge uno spirito settantiano legato all’hard rock vivacissimo e non distante dai classici Uriah Heep e Thin Lizzy. A margine segnaliamo un artwork molto bello e che cattura facilmente l’attenzione ed una produzione magari un po’ rivedibile, che non fa emergere a dovere le dinamiche che, con una maggior cura, potevano spiccare maggiormente ed essere un punto di forza del lavoro. Venticinque anni fa un disco del genere poteva fare “il botto”, oggi semplicemente ci limitiamo a promuoverlo senza esagerare con le lodi e a ribadire che in ambito prog-metal i Lucid Dream hanno ottime carte da giocare.



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Peppe Di Spirito

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