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MAGIC BUS The Earth years The Garden Record 2020 UK

Leggendo titoli come “Inca Trail” o “The Road to la Mezquita” cercavo di immaginare in quali posti si sarebbe fermato questa volta il nostro magico autobus. In realtà non ci siamo allontanati più di tanto dal Kent, terra del tastierista Jay Darlington e del Canterbury, corrente verso cui i Magic Bus si sono sempre dimostrati forti debitori. Il nuovo album, il quarto della discografia, non ci offre nessuna stravaganza esotica ma un pugno di canzoni (8 per un totale di 38 minuti) molto centrate sul canto e sulla chitarra di Paul Evans con un apporto tastieristico più contenuto che raramente sfocia in temi strumentali ampi e ben sviluppati. I Magic Bus, ridotti purtroppo a quintetto per l’abbandono del flautista Vivien Goodwin-Darke (la cui assenza si nota non poco), hanno preferito una formula comunicativa più immediata seppure ricca di spunti interessanti, inzuppata come al solito di sonorità vintage e umori psichedelici. “Easy Om” sfoggia subito il suo carattere spensierato assieme ad un’indole profondamente Canterburyana, complice la voce di Evans che ricorda un po’ quella di Pye Hastings. Le maniere sono ammiccanti ed i cori poppish, ben levigati, solleticano le nostre orecchie. Gli arrangiamenti sono sempre ben curati ma non vi è mai una esplosione di dettagli che vengono collocati nel momento giusto e possono essere rappresentati da arpeggi gentili su uno sfondo tastieristico pieno, da un cambio nel ritmo e da giochi percussivi, da riff che si incastrano morbidamente con l’organo. Sconfiniamo in “Inca Trail” praticamente senza accorgercene e l’effetto di continuità è dato da una comune ispirazione e da uno spirito piuttosto easy. “Setting Sun” ci ricorda gli Yes, subito all’inizio, con il Moog e la chitarra arpeggiata, ma fiorisce come una ballad semiacustica molto semplice, dai tratti delicati e dalle melodie dolci. Qua e là emergono strambi riferimenti ai Gong, come ad esempio in “The Road to la Mezquita”, ma soprattutto nella pazza “Barleycorn”, un po’ più ruvida rispetto alle altre tracce ma ben movimentata e con la sua giusta dose di psichedelia e follia, elementi questi che in quantità più generose avrebbero fatto forse la differenza. L’album scorre in modo assolutamente disinvolto ma purtroppo con poche sorprese. La traccia migliore rimane secondo me “Squirrel” che è di fatto l’unica in cui le sequenze strumentali vengono meglio sviluppate a creare scenari notturni e di grande respiro. Da un autobus magico mi sarei aspettata forse più colori, più idee, più movimento e non un piacevole sottofondo per una guida confortevole nel cuore della notte. Sarà che il mondo dei viaggi è terribilmente in crisi ma volare con la potenza della musica e della fantasia sarebbe stato sicuramente esaltante.



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Jessica Attene

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