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ANNIE BARBAZZA Vive Dark Companion Records 2020 ITA

In un mondo musicale che corre via velocissimo, anche in quei microambienti di nicchia, al punto che oggi chiunque cerca di pubblicare un disco nel più breve tempo possibile, a costo di accelerare i tempi, di autoprodursi e di non fare troppa attenzione a difetti da limare, Annie Barbazza ha scelto un percorso completamente diverso. Ha accumulato esperienze di varia natura, ha “fatto allenamento” con dischi, da sola o in compagnia, di cover di brani celebri del prog e non, ha calcato il palcoscenico con musicisti importanti quali Giorgio Fico Piazza, Osanna, Aldo Tagliapietra, Eugenio Finardi, ha intrecciato collaborazioni fruttuose, che hanno sicuramente aiutato la sua crescita, con nomi storici quali Greg Lake e John Greaves e con la North Sea Radio Orchestra. Dopo essere stata "battezzata" dal bassista e cantante che ha legato il suo nome a quelli di Keith Emerson e Carl Palmer, Annie ha trovato un legame artistico importante in particolare con Greaves. La presenza nei suoi dischi e la partecipazione di entrambi al tributo a Robert Wyatt insieme alla North Sea Radio Orchestra sono stati ulteriori passi fondamentali di verso una maturità e verso l'acquisizione di una consapevolezza dei propri mezzi che le hanno permesso di arrivare prontissima a "Vive", il suo vero esordio solista. Così in questo lavoro evidenzia ampiamente la personalità e la bravura raggiunte grazie al background appena descritto. Ed essendosi legata, come abbiamo visto, alla scuola di Canterbury, non sorprende che l’album mostri più punti di contatto con questo mondo.
In origine, spinta da Greg Lake, Annie doveva essere protagonista assoluta di questo disco, cantando e suonando tutti gli strumenti. Ma dopo essersi fatta conoscere ed essere stata presente in lavori e concerti di molti colleghi, sono stati in tanti a voler dare il loro contributo. E se andiamo a leggere i nomi dei partecipanti viene anche più di un brivido: oltre Lake e Greaves, troviamo, tra i tanti, Daniel Lanois, Fred Frith, Lino Capra Vaccina, Paolo Tofani, Paul Roland… Davvero niente male! Fin dalle prime note siamo catapultati nella Canterbury cantautorale, sperimentale e bizzarra. Si avverte subito che l'influenza di John Greaves è stata forte e viene esposta senza problemi in "Vive". Scorrono, così, una serie di canzoni di breve durata, ma tutt'altro che banali, articolate come sono tra una ricerca strumentale e timbrica di prim'ordine, con quelle melodie sghembe che da sempre fanno parte dell'universo canterburiano, con atmosfere diafane che creano suggestioni molto particolari, con una malinconia di fondo che rapisce immediatamente. E su tutto questo scorre la voce di Annie, che sfodera una prestazione maiuscola, capace di incantare con linee melodiche stravaganti e soavi, con sperimentazioni a metà strada tra Wyatt e Stratos, con scatti rabbiosi, persino con qualche spunto vagamente operistico. Come si suol dire in questi casi, la voce diventa uno strumento aggiunto. Si va avanti tra ammodernamenti dell'epopea canterburiana ("Ys", "June", "Phantoms"), ballate cariche di magia ("From too much love of living", "Boite à tisanes"), brani minimalisti ("Time", "Nebulae"), i vagiti sperimentali e neoclassici di "Wrote myself a letter", il solito grande ripescaggio della sempre splendida "How beautiful you are" (dal bellissimo “Kew-Rhone” a firma Greaves/Blegvad), il bozzetto classicheggiante "Tide", momenti in cui emerge una notevole teatralità, ("Lost at sea", "Les ruines du sommeil", "Lotus flower"). Ogni dettaglio è stato curato minuziosamente e gli interventi strumentali di classe non sono solo una base su cui mettere in mostra le capacità vocali, ma si legano strettamente alla performance vocale di Annie, creando quegli scenari così particolari e misteriosi.
Tutto perfetto? Forse sì ed è questo, paradossalmente il pregio ed il difetto di un album in cui il talento naturale e cristallino dell'artista emerge in tutta la sua forza. Sembra davvero difficile trovare difetti a “Vive”, che di sicuro non è una di quelle espressioni di prog ultratecnico, sinfonico e spettacolare, ma l’esatto opposto, giocando sulla voglia di unire melodia e ricerca e di arrivare ad una forma ineccepibile anche grazie ad una produzione pulitissima. Forse questa ostentata perfezione può lasciare di tanto in tanto una sensazione di freddezza, ma riteniamo sia davvero difficile oggigiorno trovarsi di fronte a dischi di debutto già così maturi e belli. Magari Annie Barbazza potrà anche trovare il modo di fare cose ancora più grandi; nel frattempo, affermiamo senza esitazioni che può già essere inquadrata tra le stelle più brillanti dell’attuale universo avant-prog.



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Peppe Di Spirito

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