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JAUME DE VIALA |
Sonoritat de mil miralls |
autoprod. |
2021 |
SPA |
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C’era una volta la Celobert Màgic, oscura band catalana attiva dal 1979 al 1983, di cui oggi sembra davvero un’impresa ardua trovare tracce. Oltre a Salvador Avià, cioè l’asse portante del gruppo, in formazione era presente il chitarrista Jaume De Viala, anche autore e co-autore di alcuni brani. Proprio quest’ultimo riprende le vecchie canzoni e le rende note al grande pubblico reinventandole in chiave jazz-fusion, pur mantenendo in molti casi l’impronta folk originaria. Nella pubblicazione in oggetto rispuntano anche i vecchi componenti dei Celobert Màgic, soprattutto la cantante Judit Cucala ed il percussionista Oriol Madurell, presenti in buona parte dei brani. Su “Ombres de Lluna creixent” partecipa anche l’altro percussionista della band madre, Trissi Hernandez, oltre allo stesso mastermind Salvador Avià, che col buzuki impreziosisce una composizione dall’atmosfera notturna fin dal titolo; dopo l’inizio cadenzato, ci si lascia andare verso una fusion mediterranea in cui traspaiono ogni tanto antichi retaggi mediorientali. Il pezzo dura comunque poco, come del resto accade con buona parte delle ventidue composizioni qui presentate. La confezione e i contenuti potrebbero tranquillamente consentire di spacciare questo prodotto come un album della MoonJune Records, anche in vista dei nomi coinvolti: il chitarrista serbo-ispanico Dusan Jevotvic (co-arrangiatore e poi coinvolto anche al mix), il batterista Xavi Reija ed il pianista/tastierista serbo Vasil Hadzimanov, cioè nomi di punta dell’etichetta di Leonardo Pavkovic. A questi vanno aggiunti, tra gli altri, il bassista David Marroquin e l’altro tastierista Alvaro Gandul, a suo tempo impegnato in formazione proprio con Xavi Reija. I tasti d’avorio risultano un elemento essenziale per condensare le idee e far vibrare le emozioni nell’arco di pochi minuti, creando un insieme sonoro in cui è spesso presente (con atteggiamento sempre discreto) il flauto di Pablo Selnik, musicista con cui si va a sostituire Dani, il flautista originale dei Celobert. Così, le inziali “Adéu, tresors d’estiu perdut” e la già citata “Ombres…” rappresentano le due tipologie di composizioni che si ascolteranno in questo lavoro: la prima, pur con richiami jazz (soprattutto nell’introduzione), è il classico pezzo malinconico cantautoriale che poi ha trovato grande fortuna nella cultura sudamericana, specie nella rappresentazione della saudade brasiliana; il secondo, pur partendo dalle medesime radici etniche, come già specificato si evolve verso la sperimentazione jazz-fusion. Un punto di contatto tra queste due sfere lo si potrebbe ritrovare con “Marinada”, formata da una parte cantata e come al solito malinconica, a cui ne segue un’altra strumentale in cui le emozioni salgono di intensità, terminando con il suono del mare e il canto dei gabbiani in lontananza. La rappresentazione di questi stati d’animo (non certo allegri) con sonorità raffiguranti la luce del giorno che si va smorzando, oltre al suono evocativo dell’acqua, viene portata avanti anche in altre tracce come “Quan…”; un episodio intenso, in cui si ha la sensazione di assistere a qualcosa che esce dal mare durante un placido crepuscolo, per poi sentire scendere la pioggia che chiude la scena. “Setembre cristal-lí” denota delle belle trovate, soprattutto grazie a questa atmosfera creata dalla voce che si fonde con la musica, senza pronunciare parole ma solo accompagnandola, inserendo poi una breve parte in cui sembrerebbe che tutto si ravvivi e usando la chitarra quasi come un mandolino. Peccato che anche questa volta tutto termini troppo presto, quando sembrava che la composizione si stesse sviluppando. Un buon equilibrio tra soluzioni jazzate e tradizione viene ben raggiunto anche su “Dissortal estel”, dove Judit fornisce una bella interpretazione vocale, a cui seguono i giochi di flauto nella strumentale “Tercet del teu adéu”. A convincere, poi, è anche la parte chitarristica di “Vals del desengany”, che dopo la solita malinconia cantata passa ad una riproposizione decisamente più incisiva. Sembrerebbe una parte dell’album in cui le partiture guardano verso qualcosa di differente, come dimostrato sulla strumentale “Setembre cristal-lí al Fuji nevat”, dove si vuole ricreare un andamento orientale e si finisce per somigliare ad una versione molto smussata ed edulcorata dei King Crimson. “Certesa”, grazie al suo cantato e alle note di chitarra, potrebbe essere la colonna sonora di un film melodrammatico di fine anni ’70, per poi emergere brevemente con la chitarra elettrica in uno stile simile a quello usato da Robert Fripp nel finale di “Starless”. Da menzionare c’è anche “Un dia boirós”, trasposizione e riadattamento di “A foggy day”, originariamente composta da George Gershwin e qui tradotta in catalano. Altre proposte piacevoli le si ritrova nelle due versioni “Regal (III-1982)”, nella più sinfonica “Duet del teu nom”, in “Extractes de la llunnyania mediterrània” e nella conclusiva “Espera”. Come però è facile intuire, ventidue brani sono tanti, anche se brevi e distribuiti in sessantadue minuti di musica. Ovviamente si voleva riproporre il vecchio repertorio per consentire che finalmente vedesse luce, ma sarebbe stato meglio puntare al massimo su una decina di pezzi ed elaborarli con soluzioni più ricercate, magari poi pubblicando un secondo volume. L’atmosfera da magone si protrae per troppo tempo e ad un certo punto ci si stanca, dovendo rinviare l’ascolto. Peccato, perché il prodotto è reso bene, sia dal punto di vista estetico che della registrazione, abbozzando idee che sarebbero risultate più convincenti, se opportunamente ampliate.
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Michele Merenda
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