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ZONEM |
Sono dentro di me |
Black Widow Records |
2022 |
ITA |
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L’atipicità è insita nella natura stessa del progetto ZoneM, messo in scena per la prima volta dal suo ideatore, quel Beppe Menozzi che non solo vanta anni di esperienza come pianista classico, ma si è messo in luce nell’ambito del prog italico più oscuro suonando proprio le tastiere in formazioni come Jus Primae Noctis e Il Segno del Comando. Un viaggio interiore, questo, tramite la colonna sonora inquietante di “un film mai scritto”; come scrive nelle note di copertina il suo autore, l’immaginifica soundtrack vede i singoli ospiti nel ruolo di veri e propri co-autori, arricchendo tramite arrangiamenti ed idee quelle tracce concepite durante il biennio che ha visto la pandemia nel ruolo di protagonista indiscusso. E in effetti questo potrebbe essere un buon parametro di lettura, perché quanto messo su dischetto dai vari musicisti liguri (elemento che contraddistingue il lavoro in questione) è qualcosa che indubbiamente sa di “infetto”, di cupo, di malsano e che si prefigge l’intento di creare disturbo in quella che invece sarebbe la propria zona di comfort. Era inevitabile che in tale contesto si facesse chiaro riferimento alla letteratura horror/fantascientifica di H.P. Lovecraft, vista l’intenzione di destare suoni primordiali impressi nell’inconscio – questa la dichiarazione ad effetto –, con cui si mira a far sprofondare nelle sensazioni di ansia e disturbo sopra accennate, come se la condizione inziale dell’Esistenza fosse ferina, inquietante e per nulla armoniosa nel senso classico del termine. Uno spesso alone di “aliena” ostilità assolutamente in linea con la produzione dello scrittore statunitense e che, musicalmente, oltre alle compagini sopra citate guarda ad altre “oscurità” regionali tipo Malombra e Nova Malà Strana. Ovviamente, il disco non poteva non uscire per la Black Widow Records, sempre a proposito di oscure realtà in terra ligure. Il “benvenuti”, sussurrato nell’iniziale “Nessuna uscita”, è l’introduzione alla musica da vecchio sceneggiato italiano a tinte orrorifiche, ovviamente attualizzata, che fa da preludio ad “Arkham”, primo tributo al succitato Lovecraft, facendo riferimento al racconto “Il colore dallo spazio”. Il brano vede coinvolta (tra gli altri) buona parte de Il Segno del Comando: oltre a Menozzi, si registrano Diego Banchero (basso), Riccardo Morello (voce), Roberto Lucanato e Davide Bruzzi (chitarre), assieme al batterista Mario Riggio (Jus Primae Noctis) e all’altro chitarrista Paolo Puppo (Will’O’Wisp). Si tratta di una canzone decisamente pesante, in cui non si raggiungono apici emozionali ma si naviga tra costante spossatezza; c’è da sospettare che le basi ritmiche e la voce suonino volutamente ovattate, con poca dinamica, fatta eccezione per i coinvolgenti assoli sulle sei corde. A corredo di ciò, la coda strumentale vede la sovraincisione di qualcosa che sembra letteralmente friggere e distorcere: è la sonda Cassini che invia il suono del campo magnetico degli anelli di Saturno (il “Potatore”, il Giudice, il Karma che si fa ossa, il Guardiano della soglia tra conscio ed inconscio, il Riduttore degli impulsi che giungono dai pianeti dello Spirito). “Cospirazione” è uno strumentale in stile Goblin, molto ossessivo, e a dimostrazione come tutto qui sia un puzzle, arriva la brevissima “Eurimaco il mentitore (Bestia part 1)”, brano estratto dalla colonna sonora composta per la mostra pittorica “Ulisse” di Graziella Gemignani. Che a dire il vero sembra non azzeccarci nulla. È un intermezzo che sgombera la mente, prima dell’arrivo di “Cthulu”, in chiave Lovecraft fin dal titolo. L’alieno che fa parte degli “Antichi”, il dormiente-non dormiente che interagisce psichicamente tramite i suoi malefici sogni, qui viene cantato da Silvia Palazzini su un testo scritto appositamente da Diego Banchero. Una prova letteraria anche ben assemblata, che però piacerà nella sua applicazione in musica ai fan sfegatati di queste sonorità, suscitando qualche perplessità a tutti gli altri, soprattutto nella sua prima parte. Altra faccenda quando i ritmi rallentano: la musica si fa evocativa e la voce diviene espressiva, con una buona liricità. Quando poi si torna all’andamento sabbatico iniziale, la ripetitività rischia seriamente di scocciare. Molto particolare ed interessante l’ambient-horror progressivo della strumentale “Amigdala”, preceduto dai suoni di “Polifemo (Incubo part 1)”, estrapolato pure quest’ultimo dalla mostra pittorica di cui sopra; si tratta di un’ampia introduzione a “Incubo part 2”, anche stavolta ispirata dagli incubi allucinati di Lovecraft. Si tratta più che altro di una narrazione apocalittica, ben bilanciata tra momenti ossessivi ben dosati e spiragli di speranza. A dimostrazione che gli episodi strumentali qua sono i migliori, “Peshtigo” ne fornisce una conferma, avvalendosi nella parte centrale dei vocalizzi ben integrati di Silvia Palazzini; è un tributo alla cittadina omonima statunitense devastata da un incendio nel 1.871, registrando ben 2.500 morti. Un fatto passato in sordina e messo in totale ombra dai 250 morti di Chicago, sempre a causa del fuoco. Certo, “Sono Qui (Bestia pt 2)” è un bel pezzo di prog dalle sonorità e tematiche sempre più oscure, cantato da un misurato e perfettamente inserito Marco Fehmer, calato nella parte dello stalker che vede montare la sua visione di possesso che in maniera dichiarata sfocerà nell’omicidio della vittima. La suite continua con “Vulnerabile (Bestia pt 3)”, strumentale che – sempre tramite i vocalizzi della Palazzini – evidenzia il mutamento ansiogeno della vittima, le cui sensazioni vengono scandite dal costante battito cardiaco. “Bestia pt 4” è il maniaco che oramai risulta fuori controllo; tortura, trasfigura la vittima e la sopprime, beandosi del dolore di non poterla più avere. Un pugno in pieno volto soprattutto per il testo, che di certo sarà apprezzato da chi si crogiola nelle scene cinematografiche violente, ma che farà stare piuttosto male tutti quelli che le suddette scene non le apprezzano affatto. Concludendo sempre col filone d’orrore e angoscia, si passa via via per le brevissime “Merrick” (tributo al povero Joseph Merrick, il cosiddetto “Uomo elefante”, a cui David Lynch dedicò il film omonimo), “Proci (Bestia part 5)” – sempre parte di quella mostra pittorica –, i trenta secondi della title-track e soprattutto “Saigon”, che merita trattazione a parte. Si tratta infatti dell’estratto di un nastro militare usato dagli americani nella guerra del Vietnam nell’operazione Wandering Soul, per terrorizzare l’esercito locale con le voci dei morti in battaglia. Sempre a proposito di orrore umano… Esattamente come è stato necessario ascoltare questo lavoro a piccole dosi per recensirlo, si consiglia di fare la stessa cosa al momento del mero ascolto, affinché lo si possa assimilare meglio, comprendere… e magari anche digerirlo. Se poi lo stomaco ed anche la psiche ce li avete forti e volete trangugiarlo in un solo boccone, accomodatevi pure. Come si dice in gergo popolare: famose male!
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Michele Merenda
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