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ASIA MINOR |
Crossing the line |
W.A.M. |
1979 (AMS/BTF 2022) |
FRA |
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Il ritorno alla ribalta delle cronache progressive dello storico combo originario della Turchia e stabilitosi in Francia, culminato nella pubblicazione del terzo album “Points of libration” ha portato come graditissimo effetto secondario la rivisitazione da parte dell’etichetta italiana del catalogo passato, costituito da due perle imprescindibili. Sarebbe infatti un peccato di incompletezza affrontare l’argomento della sopravvivenza del genere musicale in Europa a cavallo tra i ’70 e gli ’80 e discutere delle entità a cui attribuirne il merito senza menzionare i due album degli Asia Minor: “Crossing the line” del 1979, oggetto di questa curatissima ristampa e “Between flesh and divine” del 1980, già oggetto di riedizione recensito su queste pagine. L’album fu registrato come autoproduzione nei parigini Maïa Studios nell’ottobre del 1978, dopo che la band, priva di un vero management, provò a sottoporre un demo-tape ad una serie di etichette discografiche, sfiorando anche un contratto con la CBS. La band si era stabilizzata dopo l’ingresso del giovanissimo batterista Lionel Beltrami, che andava ad affiancare i fondatori Eril Tekeli (flauto, chitarra) e Setrak Bakirel (voce, chitarra), coadiuvati da Paul Levy (basso). Durante la sua audizione, il diciassettenne Beltrami provò a persuadere il resto della band ad arruolare anche il suo amico Robert Kempler, con cui condivise un’esperienza negli Atlantis; la sua entrata nel gruppo fu solo rimandata, poiché le tastiere di Kempler arricchiranno in seguito il secondo album. Per questo esordio, Bakirel e Tekeli preferirono invece puntare sull’interazione tra le due chitarre e il flauto, pur lasciando qualche sporadico intervento tastieristico (organo, synth e piano elettrico) all’ospite Nicolas Vicente in forza presso i Grime. Poco prima di entrare in studio, il bassista Levy lascia; i due fondatori non ebbero alternativa se non quella di prendersi carico loro stessi dello strumento. Le tracce vedono in due casi l’utilizzo della lingua turca, mentre il resto delle liriche è in lingua inglese; uno dei brani registrati nelle sessioni, “Boundless”, vedrà la luce nell’album successivo. La stessa indifferenza incontrata dal demo-tape da parte dell’industria discografica sarà riservata anche all’LP, facendo sì che la band, rassegnata, fondasse il proprio marchio W.A.M. (“Ware of Asia Minor”), occupandosi anche dell’art work, riuscendo a distribuirlo in alcuni negozi parigini e ad ottenere qualche sporadica recensione sulla stampa specializzata. Ciò nonostante, l’album è un indiscusso successo artistico, riuscendo a conciliare in un sound assolutamente inconfondibile la sensibilità melodica del progressive anglosassone (i Camel in particolare, anche se il flauto ci porta occasionalmente in direzione dei Jethro Tull) con le sonorità assorbite nella loro madrepatria, senza tralasciare qualche frangente più rarefatto in cui si rivela qualche affinità con i francesi Pulsar. Mai come in questo caso, l’opera necessita di essere ascoltata in maniera unitaria, per cui avrebbe poco senso una disamina dei singoli episodi: mi piace però citare l’apertura “Preface”, introdotta in modo affascinante da flauti e percussioni e poi sospinta dalla batteria e dai duelli chitarristici, senza mai perdere un briciolo di eleganza o buon gusto, la seguente “Mahzun gözler” in cui la voce di Setrak risulta particolarmente evocativa e nostalgica e il flauto di Erik ci trasporta in mondi misteriosi. Intendiamoci, la musica degli Asia Minor non è così soft, presenta non di rado spigolosità al limite del crimsoniano (si ascolti la più rockeggiante “Misfortune”) e in definitiva può risultare anche un po’ cupa se comparata al sound solare di Andy Latimer e soci. Il suo fascino è accentuato da una certa aura di imperscrutabilità percepita da orecchie non avvezze alle incursioni nell’universo musicale del Vicino Oriente, sia pur mediate dal familiare linguaggio del rock sinfonico. Questa ristampa presenta l’album in versione remixata (dai nastri originali a 16 tracce) e rimasterizzata, con il risultato di una maggiore chiarezza e separazione tra gli strumenti, mentre il formato mini-LP gatefold della copertina del CD ne ripristina e valorizza appieno l’aspetto estetico, giustificandone l’acquisto anche da parte dei possessori delle release precedenti. Per tutti gli altri, una scelta obbligata: per il valore storico ma soprattutto per quello intrinsecamente musicale.
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Mauro Ranchicchio
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