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THE WEEVER SANDS Secret of the pecking order Trommelfell Records 2022 GER

Ma chi si nasconde veramente dietro la sigla “The Weever Sands”? Una realtà nata nel 2013 a Colonia, portando avanti l’idea di un progetto collaborativo che insistesse soprattutto sul minimalismo e sul cosiddetto post-prog (qualunque cosa questo termine possa significare), puntando ogni tanto anche sul prog-rock vero e proprio. Sì, ma l’interrogativo rimane: chi c’è dietro a queste “miniature”, rappresentate anche in alcuni bizzarri video? È stato indicato il nome di Jens-Peter Gaul per musica e produzione, quello di Moritz Maier per mix e co-produzione, quelli di Maik Lange, Martin Oloff e Esther Brückner (rispettivamente: mastering, parti visive e artwork), oltre a Daniel Geal alla narrazione. Ma materialmente… chi ci suona?! Un enigma che permane anche in questo terzo lavoro, nonostante in alcuni pezzi siano indicati degli ospiti speciali con i loro interventi solisti.
Si è parlato di riferimenti a Mike Oldfield, affermazione che appare maggiormente calzante per l’esordio “Keep your face turned to the light” del 2016. In questo concept si ricreano le avventure che il personaggio Phea affronta durante una intensa e turbolenta settimana, ripetendo durante i brani il solito accordo di base (che poi viene di volta in volta trasfigurato). Con un piccolo particolare: il protagonista è un fagiano! Tutto questo avvicina più che altro alla volontà di irridere ad ogni costo, tipica di un personaggio come Frank Zappa. Il pensiero va soprattutto ad un album come “Jazz from hell” (facendo ovviamente tutte le dovute proporzioni), suonato nel 1986 dal musicista italoamericano quasi interamente con il Synclavier. Anche qui, come su quel lavoro, è presente una composizione che si distingue dalle altre per l’assolo di chitarra: in questo caso si tratta di “Tuesday”, dove Armin Rave (ex Pavor) è artefice di un assolo molto tecnico e allo stesso tempo limpido su una ritmica assai complessa, di natura canterburyana. È sicuramente singolare che questo tipo di intervento, senza dubbio un grosso punto a favore della pubblicazione, sia opera di un chitarrista che militava in una death-metal band, per quanto tecnica essa fosse. Riferimenti al Canterbury-sound che già erano evidenti nell’iniziale “Morning”, resa però su quella che sembra una tastiera MIDI, soprattutto nella sua parte conclusiva (suonando anche piuttosto antipatica, tipo musica da favoletta per bimbi), che però vede un inaspettato intervento al flauto di Geo Schaller. L’ex produttore dei Guano Apes tornerà poi su “Friday”, una delle “miniature” meglio riuscite, con un romantico assolo di sassofono. In questo andamento “uccellesco”, in mezzo a suoni vari ci sono anche le tastiere distorte (che sanno però sempre di campionamento) di Dyanne Potter Voegtlin & Jan Christiana su “Thursday”, mentre “Saturday” risulta essere senza dubbio la più intricata del lotto. “Sunday” chiude in modo rilassato, con versi di uccelli e ripetute declamazioni che vanno a sfumare. Occorrerebbe poi citare anche il basso, che su molti episodi fa la differenza, ma non si sa chi lo suoni e se davvero ci sia qualcuno a suonarlo oppure sia riprodotto tramite computer.
Chissà perché, alla fine dell’ascolto, sono venuti in mente gli italiani The Bad Mexican, soprattutto quelli dell’esordio rilasciato sul mercato discografico nel 2012, anche se lì vi era una vena sperimentale maggiore. A questo punto, c’è poco altro da dire. Ci sarà qualcuno interessato a questo album? Probabilmente sì, esistono ascoltatori per qualsiasi tipo di proposta. Di certo, la proposta stessa è alquanto bislacca e non sembra essere stata creata per esser presa sul serio ma per irridere, anche se con una certa professionalità.



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Michele Merenda

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