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CAIRO (UK) Nemesis Spirit Of Unicorn 2023 UK

Secondo lavoro per la band omonima di quella statunitense, che negli anni ’90 si poneva tra i migliori esponenti prog-metal per la label Magna Carta. La realtà musicale britannica, capitanata come sempre dal tastierista/cantante Rob Cottingham, continua invece a portare avanti la sua mistura elegante di hard/heavy rock e pop, per qualcosa che a tratti tenda a somigliare al new-prog, con qualche puntata proprio nel prog-metal per via di riff molto duri e pesanti. Ancora una volta il prodotto vuole presentare tematiche di denuncia globale, estendendo il discorso su più livelli, riguardante soprattutto quello ambientale. Da segnalare l’ingresso della nuova cantante Sarah Bayley, che ha molto più spazio rispetto a chi l’ha preceduta sull’esordio, tanto da poter essere indicata come la frontwoman del gruppo. Una presenza che però viene quasi sommersa nell’iniziale “Asleep At The Wheel”, traccia che ha un buon attacco, duro e teatrale (c’è un po’ di stile Ayreon, qua), facendo fondere le due voci e mettendole in secondo piano rispetto al muro sonoro, per poi concedersi dei lunghi momenti sognanti. La Bayley cerca di emergere da questo mare denso con la seguente “Tripwire”, con acuti che possano perforare le barriere costruite attorno a lei, mentre si pesta e si macinano riff a tutto spiano, nonostante apertura e chiusura siano fintamente romantici.
La cantante si dimostra davvero valida nei momenti più delicati, quando cioè viene lasciata libera di esprimere le sfumature espressive della sua voce. La si può quindi apprezzare nella dolce e breve “Glow” (perché in alcuni tratti del suo cantato viene in mente “Black Hole Sun” dei Soundgarden?), dove riecheggia un lirico assolo di James Hards sulle sei corde. Una bella formula che si ripete su “The Love” (adattamento di un poema firmato da Deborah Cottingham), in cui Hards riesce a risuonare con un effetto scenografico ancora maggiore e Graham Brown si rende autore di un ulteriore eccellente lavoro dietro le pelli. E sempre per rimanere tra gli episodi più concisi ed incisivi, “Déjà vu” fonde nuovamente le due voci, che però stavolta non risultano prevaricate dagli strumenti. Anche qui ci sono dei rimandi al progetto Ayreon, soprattutto agli episodi più quieti e “tecnologici”. A proposito di questo, risulta un esperimento singolare “Save The Heart”, una sorta di requiem per l’appunto tecnologico, il cui testo non viene cantato; possono solo essere uditi dei lontani versi meccanicizzati, immaginando scene disastrose. La conclusiva title-track, invece, che viene subito dopo, risuona luminosa per contrasto. Otto minuti in cui domina stavolta la voce di Cottingham. Bello il finale, molto new-prog.
Tra gli altri brani, va citata per una questione di curiosità la ottantiana “Jumping On The Moon”, il cui inizio somiglia incredibilmente a quello tastieristico di “Jump” firmato dai Van Halen. Strofe piacevoli e sostenute che fanno da netto contraltare al ritornello scanzonato, ben tradotto poi nell’assolo chitarristico. Decisamente più impegnata “New Beauty”, un mid-tempo dove le strofe vengono tenute in sospeso tra il basso oscuro di Paul Stocker e la batteria rutilante di Brown; un breve momento di stasi viene poi spezzato dalla coda strumentale.
Questo nuovo lavoro risulta migliore dell’esordio, anche perché vi è un maggiore coinvolgimento da parte degli alti musicisti. Prodotto ben confezionato e prodotto, senza vette memorabili, che non difetta assolutamente di eleganza formale.



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Michele Merenda

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