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GOAD Titania My Kingdom Music 2023 ITA

Praticamente, ad oggi, mezzo secolo di attività musicale per Maurilio Rossi e la sua oscura creatura, che nell’arco dei decenni ha serpeggiato inquieta tra le sfumature più cupe del prog-rock. Attitudini stilistiche con cui si sono affrontati concept mai semplici, tanto nei contenuti letterari (da H. P. Lovecraft a E. A. Poe, passando dai racconti di Spoon River per finire alle vicende di W. S. Landor) quanto nelle partiture musicali sempre introverse… e controverse. Pian piano, da quell’esordio discografico di esattamente quarant’anni prima, i Goad arrivano al sedicesimo album, scegliendo ancora una volta la letteratura inglese – nello specifico, William Shakespeare e la sua regina Titania in “Sogno di una notte di mezza estate”, oltre ai versi di John Keats – come scenario per esprimere la rinnovata ispirazione compositiva del già citato leader Maurilio Rossì. Quest’ultimo, oltre ad essere songwriter, arrangiatore e cantante, si mostra ancora una volta come valente polistrumentista (tastiere, pianoforte, chitarra, basso e batteria). Una nuova fatica corroborata dalla produzione di Max Cirone, che dà maggiore forza ed incisività alla proposta.
L’organo ecclesiastico in apertura di “Upon A Little Hill” sembrava portare in atmosfere insolitamente celestiali, prima che il consueto senso di “vuoto” tipico della band venisse fuori con un emblematico colpo di batteria. Questa sensazione di “vecchia cassetta monofonica”, in effetti, pare essere specifica dei Goad, dove sembrano mancare i riempimenti sonori tipici del basso, delle tastiere e delle chitarre ritmiche in secondo piano. Strumenti che comunque sono ben presenti, proposti però con ruoli evidentemente diversi rispetto ai consueti parametri, messi fin dall’inizio in bella mostra durante le loro fasi soliste dalla succitata produzione. Di certo vi è una contaminazione con altre esperienze, come ad esempio certa new-wave piuttosto evoluta, tanto che nella seconda parte del pezzo in questione vi potrebbero essere dei riferimenti ai vecchi U2, trasfigurati però dalla voce abrasiva di Maurilio. Non è certo facile seguire questo nuovo lavoro, che nello scorrere dei brani si rivela sempre più ermetico. La vocazione dark si fonde sempre di più con quella progressiva e ogni tanto ci sarebbe anche bisogno di qualche assolo nel senso classico del termine. Ma gli intenti dei Goad sono sempre stati volti all’originalità e al distinguersi; l’oscurità, sicuramente, è un fattore che permea ogni passaggio, con la solita voce che non smussa nemmeno a cannonate i propri spigoli. Del resto, le vicende della regina delle fate di Shakespeariana memoria non sono per nulla tranquille e a seconda di come vengono rappresentate possono creare profonda inquietudine, potendole addirittura traslarle in chiave horror, con questi spiritelli che si muovono tra colline e fitte foreste; per non parlare, poi, di una figura tanto ambigua quanto vendicativa come quella dell’oscuro Oberon. Aggiungiamoci inoltre la figura del succitato Keats – curiosamente sepolto anch’egli in terra italica, come il già tributato Landor – che con il suo poema epico “Hyperion” (da non confondere col romanzo omonimo di Dan Simmons), pubblicato incompleto, ha trattato della disperazione dei Titani dopo la loro caduta per mano della nuova generazione rappresentata dagli dei olimpici; un’opera decisamente influenzata dalla letteratura di John Milton. In tutto questo, si conferma ancora una volta la regola che il senso di “pienezza” negli album firmati dalla band fiorentina vien fuori a metà percorso; se questo è un caso, diviene qualcosa di davvero bizzarro. Ma non può essere una casualità che “One Light Like Another” sia stato scelto come singolo apripista, con un basso davvero presente. L’andamento di tutta questa nuova pubblicazione va quindi seguito nella sua interezza, senza distrazioni, per cogliere i numerosi particolari che viene arduo descrivere senza essere eccessivamente prolissi. Si consiglia, comunque, di dare un ascolto più attento ai sei movimenti che compongono la suite “Beauty Is Truth”, probabilmente dedicata proprio a Keats, il quale pensava che la poesia non debba comunicare al lettore un messaggio particolare bensì “solo” bellezza.
Con Maurilio, occorre ricordare anche Gianni Rossi (chitarra), Paolo Carniani (batteria), Martino Rossi (samples, tastiere, basso), Frank Diddi (chitarra, sax, flauto), Alex Bruno (chitarra, violino, oboe).
L’edizione speciale contiene anche un secondo CD bonus, con dodici tracce live. Le prime nove risalgono al 2006, splendidamente aperte da “I’ll Celebrate You”, pezzo che a suo tempo faceva da apertura sia “Tribute to E.A. Poe” (1994) che a “Glimpse” (1998). Era un altro Maurilio? Probabilmente sì, cantava in maniera molto più romantica, e il pezzo qui viene poi impreziosito dal violino di Francesco Diddi, pure lui polistrumentista. Ma ci sono anche la trascinante “Yet Another Battlefield” (con un finale davvero ispirato), “Dreamland” che verte ancora su Poe, la chitarristicamente esaltante e con un tocco cinematografico “Dark Virgin” e soprattutto “Genius of Europe”, concentrando quindi la scaletta sull’allora recente “In the house of dark shining dreams”. I restanti tre brani sono del 2022 e la registrazione risulta nettamente migliore. Tre brani estrapolati da “Il Minosse” (1999), che strappano applausi a scena aperta per le ottime prove dei musicisti, soprattutto su “Heavy Wings”. Qualcosa stava comunque già cambiando e le acrobazie strumentali – mai comunque fini a loro stesse – avrebbero via via lasciato il passo a quell’introspezione composta da tante cesellature di cui si è parlato non solo in occasione di questo nuovo lavoro ma anche dei suoi immediati predecessori. Si avverte la mancanza di quella sfrontatezza giovanile riversata anche in fase solista, ma i tempi e le persone si evolvono, necessitando di dar voce a nuove parti di sé.



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Michele Merenda

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