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AETHER Aether Overdub Recordings 2023 ITA

Il qui presente esordio del quartetto meneghino era nato in principio come lavoro su alcuni brani della tesi di laurea del bassista Andrea Grumelli, in ambito jazz. Poi, è pian piano diventato un insieme di varie cose, comprendente (in minima parte) il prog e soprattutto la sperimentazione sul versante jazz-rock. Certo, c’è qualche spunto che sa di Canterbury, ma qui predomina il suono minimale che si appoggia molto all’elettronica, ai sintetizzatori, ricreando addirittura ambientazioni post-rock. Di sicuro, risuona forte il tentativo di allontanarsi a tutti i costi dagli schemi prestabiliti, correndo così il rischio di divenire molto astratti e quindi riservati ad un pubblico sempre più ristretto. I colori ed il soggetto di copertina non spingono certo all’entusiasmo, con il cupo bianco e nero che pervade una landa desolata. Immagine e stile potrebbero essere accomunati ad approcci di band e solisti scandinavi, comunque nord-europei, tirando fuori distorsioni nel mezzo di ovattati “paesaggi” sonori. Oltre a Grumelli (anche al Chapman stick) troviamo Andrea Ferrari (chitarre e tastiere), Andrea Serino (tastiere) e Matteo Ravelli (batteria ed elettronica). Ognuno di loro è già stato impegnato in progetti che sono andati dal folk al contemporaneo, passando per psichedelia, improvvisazione e persino la “ri-musicazione” live di film muti (lo stesso Grumelli, con I Sincopatici). Quindi, non stupisce affatto che l’iniziale “Echo Chamber” possa sembrare estrapolata da qualche lavoro di Brian Eno, mentre le seguenti “Badiance” e “Thin Air” mostrino degli sprazzi del retroterra jazzato dei protagonisti coinvolti: rispettivamente, prima tramite le tastiere e poi con le sei corde, che qui si esprimono con fasi sonore decisamente “pulite” rispetto al resto dell’album. Vi sono degli episodi che in genere oscillano sotto i tre minuti, come “Grey Halo”, “A Yellow Tear In A Blue Eyed Sky” e “The Shores Of Bolinas”; composizioni ambient che in certi casi sfiorano addirittura il lounge, capaci di coprire tutto con una coltre brumosa, pur mantenendo passaggi di chitarra e soprattutto di fretless-bass sotto lo spesso strato di effetti elettronici. Beh, si tratta comunque di intermezzi verso altri pezzi, che di volta in volta sorprendono per la capacità di tirar fuori sempre qualcosa di inaspettato. Non a caso, “Pressure” e “Crimson Fondant” erano stati scelti come singoli apripista. Nel primo caso, il Canterbury-sound risulta molto evidente, scorrendo però in maniera fluida sui tasti d’avorio, prima di imbattersi in asprezze e spigolosità, preludio alle veloci scale chitarristiche, sempre distorte. Nel secondo, invece, oltre al rimando musicale che può essere rintracciato fin dal titolo, occorre seguire le tastiere in chiave Mothers of Inventions a cui fa seguito il lavoro chitarristico che, nonostante guardi al primo Allan Holdsworth, sicuramente si dimostra abbastanza originale.
Da questo punto di vista, va senza dubbio prestata attenzione a “Moving Away”, in cui la chitarra si muove (per l’appunto) con entusiasmo tra le ritmiche ardue tracciate sull’asse basso/batteria; dopo quello che sembra essere un vero collassamento elettronico, le note riprendono allegre e bisogna ammettere che sarebbe stato bello ascoltare un’ulteriore evoluzione di questo interessante fraseggio. La conclusiva “This Bubble I'm Floating In”, invece, si rivela con i sui arpeggi e l’uso dello stick molto sognante, come se si fosse giunti infine alle sponde della vallata, bagnate dal mare, terminando il proprio viaggio e lasciando pensare che il viaggio stesso non fosse stato fino a quel momento poi così malinconico come si credeva. Infatti, dando un paio di ascolti più attenti, la musica dei nostri risulta più complessa di quanto inizialmente ci si potesse attendere. Una complessità che non riguarda solo la loro preparazione strumentale ma anche l’umore che man mano si va respirando e vivendo durante l’ascolto. Il drumming è sempre pacato ed agile allo stesso tempo, contribuendo a dare scioltezza a questa prima proposta. Occorre adesso elaborare ulteriormente, ma le premesse ci sono, anche se nascoste tra quella nebbia (padana?) in copertina.



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Michele Merenda

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