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AETHER |
Trans-Neptunian objects |
Luminol Records |
2024 |
ITA |
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Secondo capitolo discografico per gli Aether, che si cimentano in un concept dalle tematiche fantascientifiche, narrando di un corpo celeste nell’orbita di Nettuno e di messaggi inviati con la speranza che vengano captati da entità aliene. Per questa nuova proposta, la band ha deciso di registrare la musica in presa diretta, così, Andrea Ferrari (chitarre e tastiere), Andrea Grumelli (basso fretless), Andrea Serino (Fender Rhodes e tastiere) e Matteo Ravelli (batteria ed elettronica) hanno preparato il materiale da eseguire e si sono ritrovati in uno studio milanese pronti a immergersi in una proposta che dà una visione sonora di questo loro racconto ambientato nello spazio. Ne è venuto fuori un lavoro di quarantotto minuti molto suggestivi, durata non troppo lunga che favorisce l’assimilazione di brani interamente strumentali senza mai appesantire l’ascolto. Dall’incipit “Sidus (prelude)” quasi jazzistico con piano elettrico e basso in bella evidenza, la musica si sviluppa mantenendo una certa omogeneità pur andando ad esplorare più territori. Alla base c’è un orientamento marcatamente prog, con cambi di tempo e di atmosfera, ma capace di deviare verso jazz-rock e space-rock, come dimostrano “Neptune”, “Amalthea” e “Sidus”. In questi casi le note della chitarra e delle tastiere spesso si dilatano e i ritmi, pur con le loro variazioni, si mantengono spediti. In particolare, “Sidus” che è la traccia posta in chiusura del disco, con i suoi quasi tredici minuti mostra tratti imprevedibili, dalla partenza lenta al passaggio soffuso e jazzato, dal graduale indirizzamento verso il jazz-rock progressivo all’intermezzo dark sospeso e carico di tensione, fino alle bordate finali tra rock sinfonico ed echi di King Crimson, il tutto condito da gustosi ed essenziali momenti solistici. A volte, gli Aether, puntano invece più su suggestioni ambient, dando un tocco onirico e avvicinandosi a certa estetica post-rock, tra crescendo lenti, visioni cosmiche e jazz notturno, come avviene in “Magrathea” e “Pale blue dot”. Nella parte centrale del cd troviamo poi due episodi dalle caratteristiche più stravaganti: “Saturn”, ha connotati che si muovono tra elettronica e psichedelia floydiana, esperimento riuscito a metà, mentre “Ephemeris” appare con una forma libera da schemi, con intrecci strumentali particolari e i musicisti mostrano come interagiscono guidati anche dall’istinto dell’improvvisazione. C’è da dire che gli Aether hanno fatto centro, riuscendo a lanciarsi nell’esecuzione di un’esperienza sonora che trasmette la visione fantascientifica che è alla base del tema concettuale del disco. La qualità della musica c’è e pur senza lampi di originalità e con più punte di “già sentito” l’album scorre bene, appare ispirato, i musicisti riescono ad evitare la trappola dell’autoindulgenza tipica di lavori strumentali e gli ascolti ripetuti risultano piacevoli e permettono di catturare più sfumature.
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Peppe Di Spirito
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