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BARO PROG |
Prog-jet IV: Aionverse |
Andromeda Relix |
2025 |
ITA |
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La prima cosa che salta all’occhio è il leggero cambio di denominazione. Se nei precedenti lavori la “creatura” di Alberto Moresini si era presentata come Baro Prog-Jets, nel nuovo disco campeggia in copertina la dicitura Baro Prog, mentre parte della vecchia sigla compare nel titolo “Prog-jet IV: Aionverse”. Dettagli formali, alla fine quel che conta è la musica, che va in diretta continuità con quanto ascoltato nel precedente “Utopie”. Ma prima riepiloghiamo velocemente quanto fatto in passato da Morosini con questo suo progetto, per chi si fosse perso le puntate precedenti. Stiamo parlando di un polistrumentista, cantante e compositore che verso la fine degli anni ’70 ha provato a dire la sua nel mondo del prog, di cui è grande è appassionato. Ha dovuto però aspettare il 2019 per farsi conoscere agli appassionati con “Lucillo & Giada”, che recuperava alcune registrazioni degli anni ’80. Il successivo passo è stato “Utopie”, risalente ai primi anni del nuovo millennio, ma rimesso a nuovo e pubblicato nel 2021. E si giunge adesso a questa nuova proposta, presentata come vera e propria opera rock e che lo vede contornato di numerosi collaboratori, italiani e non, tra i quali ricordiamo Heather Findlay, rinomata vocalist dei Mostly Autumn, Meghi Moschino, bravissima cantante dei Quanah Parker e il chitarrista Iacopo Melille dei Tygers of Pan Tang. Non spaventi quest’ultimo nome storico del metal a chi non digerisce troppo le sferzate del genere, Moresini in “Prog-jet IV: Aionverse” continua la sua voglia di recuperare le sonorità prog più strettamente legate al classico rock sinfonico britannico, con influenze che variano dagli Yes a Emerson, Lake & Palmer, dai Gentle Giant ai Genesis. Poi magari vengono inseriti qua e là dei passaggi più duri, qualche deviazione jazz, contaminazioni che spingono verso la world music. Eppure, l’abilità di Baro e dei suoi compagni di avventura in questa occasione permette di presentare un discorso sonoro omogeneo che scorre in maniera fluida e che segna un ulteriore passo avanti rispetto a quanto fatto finora. Nelle composizioni di durata più elevata si nota la voglia del musicista di costruire un prog sinfonico ricco di intarsi strumentali tra tastiere, pianoforte e chitarra (con qualche inserimento anche del violino), con stacchi improvvisi, spiragli acustici e i consueti cambi di tempo, senza perdere di vista l’aspetto melodico soprattutto in alcuni spunti cantati. Il basso emerge bene nel mix, ma non risulta mai sovrastante, donando, anzi, un piacevolissimo effetto. E questa è solo una delle varie caratteristiche che dimostra come Baro trovi giusti equilibri; così, tanto per fare un altro esempio, i passaggi enfatici (che devono qualcosa anche alle avventure di Ayeon) non sono mai preponderanti e sono ben distribuiti, in maniera tale che l’ascolto non risulti mai faticoso. Il sound è comunque moderno e viene lasciato poco e niente alla nostalgia vintage, cosa che, tuttavia, non paga sempre, visto che in alcuni frangenti si avvertono timbri che danno l’impressione di una certa freddezza. Alla fine dell’ascolto, di certo senza gridare al capolavoro, le sensazioni sono positive: il disco, anche se va in una netta direzione di “già sentito”, risulta bello, convincente, godibile, ben curato e ben suonato. Stiamo parlando sempre, come detto, di prog sinfonico nella più classica accezione del termine e con le più classiche influenze, ma tra le tantissime uscite di questo genere, questa è una di quelle che sicuramente farà presa su chi lo continua a seguire con interesse.
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Peppe Di Spirito
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