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HOLY LAMB Gyrosophy Musea Records 2016 LET

La band lettone veleggia verso il 25° anniversario dalla propria fondazione con un nuovo album, il quarto, per il quale si deve registrare il solito consistente numero di cambi di formazione. Della line-up che ha dato vita al precedente lavoro “Beneath the Skin” (2002) rimangono infatti solo Aigars Červinskis (basso e voce, unico membro originale della band rimasto) e Juris Rāts (tastiere). A livello stilistico non è invece cambiato moltissimo in 13 anni (”Gyrosophy” è stato pubblicato inizialmente solo in digitale sul finire del 2015): si parla ancora di Neo Prog sinfonico con qualche sonorità floydiana (pallido retaggio del primo CD, “Salt of the Earth”, 1999), molti connotati sperimentali e sonorità tendenti alla new wave con qualche somiglianza coi Cardiacs. Le ritmiche sono sovente frenetiche o addirittura schizoidi, con un cantato (comunque non onnipresente) spesso urlato, a metà tra David Byrne e Peter Hammill, che non è certo il massimo della vita ma ha un suo perché, nell’ambito di questa musica…
Lo strumentale “Pork Power” in poco più di 3 minuti condensa più cambi di tempo di una settimana di marzo ed è volutamente eccessivo e bizzarro. “To the Boy I Used To Be” è un brano abbastanza melodico, dai connotati prevalentemente sinfonici, con un cantato su tonalità più calde e armoniose che nel resto dell’album e addirittura un breve intervento di flauto. Un bel pezzo insomma… senz’altro quello più distante da tutti gli altri. Con “Murderous words” le atmosfere si fanno nuovamente concitate, pur con gradevoli armonie delle tastiere che sembrano voler mettere ordine tra il cantato spiritato e le percussioni spesso in contrapposizione con tutti gli altri. “In the Safety of My Hilltop Empire”, altro strumentale, è un brano guidato per tutta la sua (comunque breve) durata dalla chitarra, molto elegiaca all’inizio, che però pare arrestarsi quasi sul più bello, prima del suo pieno sviluppo.
“Trouble Vision” è invece un lungo brano che, iniziando su cadenze vandergraaffiane, inizia dopo poco a farneticare, con un cantato che va realmente sopra le righe, coadiuvato da ritmiche e cambi di tempo complesse e sperimentali, con pochi squarci di melodia che occasionalmente fanno capolino per poi essere fagocitate inesorabilmente dal mostro che si è impadronito di questo pezzo e le cui urla chiudono trionfanti questi 8 minuti. “This Amazing Race” prosegue questa rincorsa alla follia più folle, in cui i musicisti sembrano fare a gara nell’inserire più o meno brevi inserti strumentali che c’entrino il meno possibile con quelli immediatamente precedenti. Quest’accozzaglia tuttavia, incredibilmente, sortisce effetti positivi, per un brano che comunque, nella sua pazzia, è divertente e riesce a lasciarci soddisfatti (anche se stremati). “Out of Place” è un brano invece più lineare, dalle sonorità scintillanti, e mi ricorda vagamente i Magellan o gli Yes. Chiudiamo con “Down the Memory Hole”, un altro strumentale che all’avvio mi ricorda qualcosa degli ultimi IQ, per poi trasformarsi in un brano melodico, con la chitarra ancora una volta in primo piano, pur coi soliti inserti qua e là che ne spezzano a più riprese l’andatura.
L’album, tirando le fila, è moderatamente gradevole, registrato in maniera decente e abbastanza ben realizzato. Talvolta la voglia di strafare del gruppo li porta ad essere fin troppo stravaganti e questo, alla lunga, può essere un problema. Seppur non concorrerà, neanche di striscio, per la top 10 dell’anno, “Gyrosophy” rappresenta comunque un’alternativa sufficientemente valida d’ascolto.



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Alberto Nucci

Collegamenti ad altre recensioni

HOLY LAMB Salt of the earth 1999 
HOLY LAMB Beneath the skin 2002 

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