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JAKKO M. JAKSZYK The bruised romantic Glee Club Iceni 2007 UK

D’accordo, vi svelo un segreto: c’è un tizio inglese che ha fatto un disco con i seguenti artisti: Robert Fripp, Mel Collins, Hugh Hopper, Dave Stewart, Ian McDonald, Ian Wallace, John Giblin, Mark King, Danny Thompson, Clive Brooks e Gavin Harrison.
Non è un segreto? Fa nulla. Jakko M. Jakszyk è sulla scena del rock inglese fin dai primi anni ’80, collaborando prima con vari artisti e senza riuscire a pubblicare nulla, come ad esempio con i R.E.M., ovviamente non quelli famosi, ma quelli sconosciuti con Dave Stewart e Pip Pyle. Passa tra le fila dei Level 42, della Tom Robinson Band, dei Japan, sfiora per un pelo una strana reunion dei Roxy Music senza Manzanera. Passa all’avanguardia e al RIO con Peter Blegvad. Sposa Amanda Giles, figlia di Michael (quello dei King Crimson). Entra ed esce nella 21st Century Schizoid Band. In oggi parrebbe membro fisso dei Tangent.
Quello di cui trattiamo è il primo disco con composizioni tutte sue, ma ai cui arrangiamenti partecipano i Signori del prog sopra elencati. In realtà il CD è doppio e quanto detto poc’anzi vale solo per il primo, perché il secondo è fatto tutto di cover. Cover particolari, vista la presenza determinante degli stessi autori dei brani.
Il primo CD è un concept particolare, che narra in 11 brani la storia della sua vita, fatta dell’abbandono iniziale in terre devastate dalla guerra, l’adozione da parte di una famiglia inglese, l’adolescenza, i ricordi, gli affetti mancati e quelli avuti. Musicalmente siamo in atmosfere dondolanti tra un soft prog e un prog pop che spesso sfugge all’attenzione per consentirsi scorribande Folk, Prog più aggressive, RIO seppur “ordinato”, momenti intimistici di piano e voce vagamente floydiani, e passaggi dove personaggi come Michael Bublé, si leccherebbero tutte le dita a disposizione. Tra i brani di questo primo volume, spicca come un diamante il brano “Catley´s Ashes” brano crimsoniano dai ritmi spezzati con un Mel Collins da favola e particolari riferimenti ai nostri Picchio dal Pozzo, ma anche la dolce ballata folk dai toni mesti e dalle sonorità dell’Est “Srebenica”, la melodia da brividi di “When We Go Home” con il tocco magico di Dave Stewart al piano, archi e nel sottofondo il magico arpeggio di Fripp.
Il secondo volume presenta 5 cover, pescate tra Canterbury e King Crimson, brani famosi con, talvolta, il titolo cambiato a seguire un nuovo arrangiamento, una nuova veste, una nuova voce e dei suoni che mischiano vintage compositivo con modernità sonore, ma non sempre. Partiamo con una mini suite e la splendida “As long As He Lies Perfectly Still” dei Soft Machine, brano che aveva caratteristiche molto particolari con una sequenza di accordi di nona, settima e diminuita in cui Ratledge si sbizzarrì non poco. Qui la palla passa a Dave Stewart al posto di Ratledge, Jakszyk alla voce e Clive Brooks dei mitici Egg alla ritmica. Il risultato è splendido e i due brani accodati in medley, uno dello stesso Jakszyk e l’altro di Stewart sono perfettamente adattati. Arriva uno dei pezzi forti con la crimsoniana “Pictures Of A City” che qui prende il nome di “Picture Of An Indian City” e, appunto, tra le vecchie pieghe frippiane si inserisce un’inedita sonorità indo-fusion con tabla, sitar e voci tipiche, risultato molto interessante anche per il nuovo testo, cucito ad hoc da Pete Sinfiled. Segue “Nirvana For Mice” degli Henry Cow, scelta abbastanza coraggiosa per il rischio di creare livelli di ascolto troppo differenziati, ma il nuovo arrangiamento, pur mantenendo la struttura originale, ne fa un brano godibilissimo, scorrevole e perfettamente integrato con lo standard del disco, anzi questo nuovo arrangiamento, più “nervoso” e pausato secondo gli stilemi zappiani è veramente bello e quel che fa Gavin Harrison su quel tempo contorto in 21/8 direi che è quasi magico. Ancora King Crimson con il brano “Island” In un arrangiamento piuttosto fedele all’originale, anche se il solo finale di Mark Charing, manca.
In chiusura nuovamente Henry Cow per “The Citizen King” per un altro arrangiamento piuttosto fedele, ma decisamente rinfrescato e romanticizzato un po’ nello stile a cui mira questo lavoro. Coda terminale per un breve brano di chitarra sperimentale con “Soon After” del padrone di casa.
Consiglio questo disco senza problemi e, anche se lo faccio raramente, gli do un voto: 7 su 10 per il primo disco 7 e ½ su 10 per il secondo.

 

Roberto Vanali

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