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JACKSON< >WEBBER What it is autoprod. 2011 UK

Will Jackson e Roy Webber sono entrambi membri del gruppo progressive Wally, di cui il secondo è stato fondatore, (mentre Will ha suonato in alcune tarde incarnazioni dei Magna Carta) tornato sulle scene di recente con un nuovo lavoro dopo aver dato alla luce due ottimi album durante la metà degli anni ’70.
Il progetto Jackson< >Webber, piuttosto che seguire le eclettiche inclinazioni tra sinfonico, West Coast sound e country del gruppo madre, si focalizza su un rock melodico di buona fattura e facile assimilazione, i cui punti di forza si rivelano la voce da navigato singer-songwriter di Roy e le due chitarre spesso in combinazione elettro-acustica di Will e di Andy Whelan, supportate dalla di Jerry Hogan che conferisce un ulteriore tocco americaneggiante ad una band in realtà basata nello Yorkshire, nel nord dell’Inghilterra.
Non si direbbe davvero che queste dodici concise canzoni rappresentino il primo output di Webber in ben trentasei anni (durante i quali tornò al suo lavoro di grafico televisivo), tanta è la sicurezza e il “mestiere” sfoggiato, che colloca il duo in un mondo sonoro memore dei fasti di caposcuola come Neil Young (si ascolti l’ottima “She Said”), Graham Nash, The Band (l’organo su “Another time”) e soprattutto Jackson Browne (la somiglianza su “Heartbreaker” è paurosa), senza dimenticare le festose chitarre “jangle” di scuola Byrds e il versante più easy della scena folk/roots, capeggiato dai primi Eagles (come mostra “I believe in” e il suo mandolino). A completare il tutto le deliziose backing vocals di Holly Webber, che impreziosiscono non poco la conclusiva “Stony ground”, altro gioiellino che non sfigurerebbe su album come “Late for the sky” e un pianoforte che fa spesso capolino tra le trame acustiche tessute dalle corde.
Lungi dal concepire esclusivamente un’operazione di ripescaggio di sonorità in voga quarant’anni orsono, Jackson e Webber propongono una loro visione attualizzata del genere, aggiungendo l’eredità di esperienze più recenti (i Dire Straits, su “In the night”, uno dei due brani inclusi anche sul disco dei Wally), sfornano ballate infarcite di chitarre Dobro e intrise della loro personale poetica intimistica (“Wish I was falling” e “It’s only fools”, di cui è stato prodotto un videoclip) e addirittura liberano la loro vena rock su “Shame on you”, l’unico brano uptempo del lotto.
L’album contiene inoltre due ulteriori tracce nascoste (o bonus, comunque non riportate in copertina) i cui titoli dovrebbero essere “All these times” e “On your own way”, caratterizzate da una pedal steel guitar in forte evidenza e comunque assolutamente in linea con il resto del lavoro.
Un album di sicuro interesse per gli estimatori dei Wally, pur con le differenze evidenziate e per chi apprezza un rock acustico infuso di country e altamente melodico (ma senza alcun artificio che lo faccia mai scadere nel plasticoso soft-rock) di scuola prettamente statunitense.


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Mauro Ranchicchio

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