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OSADA VIDA The after-effect Metal Mind Productions 2014 POL

Davvero nulla di nuovo. Solita scontata formula. Solite scontate sonorità. Solite scontate strutture. Solito scontato prog vicino al metal, ma non troppo e con aperture sinfoniche che sanno di già sentito. Non basta un sound pulito e dai timbri moderni per “svecchiare” la loro proposta, i polacchi Osada Vida continuano imperterriti un percorso che ha come punti di riferimento i Dream Theater, i Riverside e i Porcupine Tree post “Stupid dream” e caratterizzato da grande energia, ma poca fantasia. Non sono bastati i recenti cambi di line-up per un salto di qualità; la band, formata oggi da Marek Majewski alla voce, Jan Mitoraj alle chitarre, Rafal Paluszek alle tastiere, Lukasz Lisak al basso e Marek Romanovski alla batteria, mantiene pienamente un suo equilibrio dal quale non sembra volersi spostare più di tanto. I fan saranno anche contenti così, ma restano davvero molteplici perplessità sulla qualità globale di “The after-effect”, quinto album in studio che, nonostante qualche tentativo di indirizzarsi vero soluzioni appena differenti rispetto al passato, non si discosta molto, nel complesso, dai lavori precedenti e dai loro limiti. Gli Osada Vida proseguono, così, un percorso nel quale cercano di essere appariscenti senza impulsi virtuosistici e facendo sempre attenzione a mantenere una certa orecchiabilità. Suonano bene, per carità, ma alla fine dell’ascolto (fortunatamente non eccessivo in termini di durata, tenendo conto dei quarantasette minuti del cd) gli unici pezzi che lasciano qualche segno veramente positivo sono due strumentali: “Dance with confidence”, tassello di poco più di un minuto in cui si erge a protagonista la chitarra acustica e “Losing breath”, cinque minuti di libertà dove è ancora Mitoraj, stavolta all’elettrica, a colpire favorevolmente prima di cedere il passo alle tastiere e ad un elegante quartetto d’archi. Quest’ultimo è presente anche in “Sky full of dreams”, ma anche in questa occasione siamo al cospetto di un brano che dà l’impressione che la band preferisce non osare più di tanto, tra chitarre ruggenti, tastiere a stemperare i toni e melodie vocali eccessivamente mielose che possono far male al diabete. Nemmeno le parti elettroniche di “Still want to prevaricate?” presentano quella brillantezza e quella voglia di sperimentare e, pur strizzando un po’ l’occhio ai Radiohead, non trovano il guizzo che può strappare l’applauso di ammirazione. Magari ci può essere una fascia di ascoltatori che riesce a farsi trascinare da queste cose, ma la sensazione che lascia questo nuovo episodio degli Osada Vida, esattamente come quelli che lo hanno preceduto, è più quella di un qualcosa di confusionario nel prendere qualche influenza e buttarla in mezzo a slanci prog-metal insipidi e alla voglia di mantenere una certa orecchiabilità.



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Peppe Di Spirito

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