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MIKE OLDHILL Dark matter autoprod. 2016 GER

E’ sempre difficile giudicare un lavoro di una one-man band ed ancora di più se l’album in questione, “Dark matter”, del polistrumentista tedesco Mike Oldhill (al secolo Michael Altenberger), è interamente strumentale. Avevamo già incontrato l’artista qualche anno fa (2011) con il discreto concept “Eleven explorers” (anch’esso senza parti cantate) ed eccolo nuovamente alle prese con un lavoro “a tema” che, stavolta, evidenzia, in 11 brani, gli aspetti più scuri ed “oscuri” della mente umana e della scienza. E lo fa essenzialmente con pezzi rilassati, mai sopra le righe, in cui dominano le tastiere (dai synth, al piano, allo Hammond…) talvolta doppiate da una presenza discreta della chitarra elettrica.
Non furoreggia, ma ha una presenza importante il flauto come nella title track che apre l’album, ma anche in “Three poisons” ed in “Black memories”. La ritmica è spesso essenziale, talvolta scarna e minimale, in alcuni casi del tutto assente come in “Panta Rhei” ed in “Qi” interamente incentrati su un malinconico pianoforte. Accenni new prog sui-generis per le notevoli sventagliate di synth le riscontriamo in “Synapse” ed in “Misgiving” (con inoltre un bel guitar-solo e delle belle orchestrazioni). Sprazzi fusion in “Three poisons” ed in “Shadows” si accompagnano ad una ritmica appena più incisiva ed a qualche spunto dell’elettrica troppo timida. Ecco, dunque, che la traccia più convincente risulta essere l’ultima “Endurance” (che con i suoi 11 minuti è anche la più lunga della raccolta) che racchiude tutte le caratteristiche dei brani precedenti: un approccio appena più sinfonico, pianoforte, Hammond, la solita chitarra non invadente, un pizzico di melanconia ed un paio di “cadeaux” al synth…
Tutto fatto benino, anche bene a tratti, ma rimane l’evidente impressione che, a lungo andare, 75 minuti di sola musica, per quanto ben prodotta e suonata, possa risultare stancante e di non facile ascolto. Probabilmente una durata più contenuta, qualche brano cantato, un maggiore “punch” ritmico avrebbero potuto dare maggior valore al progetto di Oldhill che rimane, stando così le cose, un poco indigesto, ma non da bocciare completamente. Solo da rivedere…



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Valentino Butti

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MIKE OLDHILL Eleven explorers 2011 

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