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OVERHEAD |
Metaepitome |
Musea |
2005 |
FIN |
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Questa interessante realtà delle terre del nord torna finalmente a colmare un'attesa durata tre anni (fatta eccezione per la collaborazione al progetto Kalevala del 2003). Siamo contenti di riscoprire una band matura, preparata e dagli ampi orizzonti rispetto al promettente gruppo di talento che qualche anno fa muoveva i suoi primi passi nel selvaggio mercato discografico. Il gruppo ha arricchito quel grazioso stile romantico genesisiano del debutto per trovare finalmente una propria dimensione che si realizza attraverso la fusione di generi ed esperienze diverse e spesso anche distanti fra loro. Non fraintendetemi, la band non ha certamente stravolto i suoi connotati: i lineamenti essenziali sono conservati e si può benissimo dire che il vecchio album sta al nuovo come le sembianze di un adolescente stanno a quelle di un adulto.
Risalta subito all'orecchio il buon lavoro di produzione e registrazione, con un'ottima scelta di suoni e registri. Allo stile sinfonico-romantico, quale si può apprezzare nella lunga traccia di apertura (la title-track di quasi 20 minuti), si amalgamano sfumature psichedeliche in un insieme sonoro che, in certi tratti, non è totalmente estraneo ai Dire Straits. Sul più bello l'ascoltatore viene quindi sorpreso da intermezzi gotici con riff Sabbathiani, che vengono innestati con una consequenzialità quasi irreale, e da sequenze tenebrose dettate dal pianoforte. Molto incisive poi le parti vocali che spesso si articolano in cori fluidi che si sviluppano in scioltezza, davvero gradevoli all'ascolto. La fusione fra suoni vintage e attuali è realizzata con grande armonia: ne è un ottimo esempio la particolarissima "WARNING: Ending (Without Warning)" che fa sfoggio di una cavalcata dominata da un vivace flauto (suonato dal cantante Alex Keskitalo) che convive con una serie di coretti epici (un po' insoliti in questo contesto) alla Gamma Ray. Bella e disinvolta "Butterfly's Cry" con i sui ritmi serrati e vivaci che, nel suo tumulto di situazioni e sensazioni, ricorda in un certo senso la genialità degli Echolyn. Convivono tranquillamente tastiere old fashion e riff abbastanza potenti in un insieme davvero difficile da definire a parole. Il pezzo di chiusura (un altro brano di lunga durata: circa 16 minuti) si apre come qualcosa dei Marillion del periodo tardo Fish e si sviluppa in maniera abbastanza lineare con suoni avvolgenti, guidati da un basso pulsante e un cantato dall'impatto irresistibile che si sviluppa in crescendo. Il finale tastieristico, un po' Floydiano, è da brivido, non tanto per lo sfoggio di virtuosismi (anche se le capacità tecniche sono evidenti) quanto per il feeling intenso che l'abile Tarmo Simonen riesce a trasmettere.
Sicuramente si tratta di un album particolare che racchiude l'essenza di diverse epoche e di diversi modi di intendere la musica: una sfida per l'ascoltatore attuale che mi sento di raccogliere e rilanciare.
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Jessica Attene
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