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Questa particolarissima band, composta da ben sette elementi (tutti stravaganti, a giudicare dalle foto e dai nomi d'arte adottati) anche se non proprio conosciutissima nel panorama Prog, è arrivata al suo sesto album in studio. Non si tratta di una band di scarto, questo è il bello: l'ensemble scandinavo costituirà sicuramente una piacevole sorpresa per quelli di voi che vorranno accordargli la meritata fiducia. Alla base di tutto è l'umorismo: i testi sono a dir poco grotteschi e la musica, vivace e creativa, è interpretata con grande maestria. E' ben identificabile una importante matrice folk sostenuta da una sezione ritmica asciutta e movimentata con riff di chitarra grezzi e ombrosi: "Cucumber Time" ricorda qualcosa dei Jethro Tull a cui si mescolano coretti strambi (in questa band cantano proprio tutti) e piacevoli imprevisti. Il sound è piuttosto scarnificato, con intuizioni che sfiorano il Pronk, anche se troviamo inseriti ad arte intarsi di flauto e di violino. Non si tratta di un gruppo acido e violento, non mancano momenti elegiaci, come nella romantica "Ethiopian Mountain" in cui la voce dai connotati quasi celtici di Hebbe Santos si staglia sui delicati ricami acustici della chitarra. Ovviamente quanto c'è di delicato ed elegiaco in questo album viene prontamente sovvertito e strapazzato a dovere a creare un insieme sonoro quasi surreale. Certamente si tende molto a far leva sull'impatto emotivo senza affidarsi troppo a sterili funambolismi. L'approccio della band è prima di tutto istintivo ed emotivo e vi sono momenti in cui la lucidità scompare totalmente, come in "Comb Your Face", traccia a dir poco eccentrica e distorta, interpretata da uno stralunatissimo Pornographic Johnson (che non è il titolo di un film a luci rosse bensì l'altro lead vocalist) o come nella sconclusionatissima ma divertente "Rub". Un elemento di spicco è rappresentato dai coretti a cappella dal tono serioso ma ironici nei loro contenuti come quello che apre la bizzarra title track che narra la storia di un prete morso da un cane che inizia a comportarsi esso stesso come un animale. In altre tracce si fa molto fatica a rintracciare il senso logico della trama come in "Cry me a Liver", un incrocio coinvolgente fra il Pronk ed il folk, ed altre volte ci vengono date in pasto delle scenette goliardiche, paradossali e di dubbio gusto come quella della ninfomane descritta in "Maiden Lickerson". Il finale è affidato alla traccia più lunga del lotto, della durata di 10 minuti, dai connotati più aulici e monumentali (almeno in apparenza), con archi struggenti e graziose parti sinfoniche dal sapore un po' tetro e gotico. Non conosco l'intera produzione della band ma se gli altri lavori posseggono le stesse caratteristiche di questa ultima fatica allora credo sia giusto che i Procosmian Fannyfiddlers possano ben presto acquistare una nutrita frotta di estimatori.
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