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FONDERIA |
Fonderia |
Bizzarre Productions |
2002 |
ITA |
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Mai nome fu più azzeccato per una band che sceglie la “fusione” degli stili musicali come propria bandiera, estremizzando quest’attitudine fino a forgiare nel proprio crogiolo qualcosa di assolutamente non classificabile e riconducibile al progressive rock più per il metodo che per il risultato.
La Fonderia si forma a Roma nel 1994 con l’intento esplicito di dedicarsi ad una forma musicale che facesse dell’improvvisazione e della mescolanza (di generi, ma anche di suoni e strumenti) il proprio punto di forza. La formazione vede Emanuele Bultrini alle chitarre, Stefano Vicarelli alle tastiere, Luca Pietropaoli ai fiati e al basso, Federico Nespola alle percussioni; la proposta, interamente strumentale, ottiene buoni riscontri già al tempo della diffusione delle prime registrazioni demo, spingendo la band ad entrare in studio nel 2001 per dar vita a questa opera prima eponima. Il riscontro di critica è ancora una volta più che incoraggiante (anche un Premio Darwin all’attivo) tanto da spingere nel 2004 la BTF a distribuire l’album in tutto il mondo. Seguiranno collaborazioni live con Rodolfo Maltese del Banco e Baffo Banfi del Biglietto; la band sta attualmente per lanciare sul mercato il secondo album: tempo quindi di colmare questa lacuna e sbirciare tra i solchi del disco di esordio.
Un album in cui troviamo il jazz-rock a braccetto con la world music ed occasionali loop elettronici, a volte mellifluo e solare come nella fiatistica “Tevere” (in cui fa capolino anche lo scratch!), la breve “Aniene” e la rilassata “Deep blue” impreziosita da un’ottima chitarra solista su base di Hammond e piano elettrico. Altrove sono le influenze world a primeggiare, come nell’orientaleggiante “Piazza Vittorio” (chi conosce Roma sa che il riferimento non è affatto casuale, essendo quello del titolo lo spazio multietnico per eccellenza della Capitale) in cui gli arabeschi di chitarra classica dialogano con una tromba o in “Dante, at last”, brano un po’ free-form basato su insoliti accostamenti su cui svetta il suono antico e caldo di un flauto tenore.
Stupisce “Dubarcord”: la citazione felliniana del titolo trova riscontro in un omaggio a Nino Rota, ma il piano elettrico ricalca nota per nota gli armonici di basso usati da Chris Squire come ossatura della sua “The fish (Schindleria Praematurus)”, un omaggio nemmeno troppo velato!
Le materie prime scelte dalla Fonderia non finiscono qui: troviamo anche elettronica (synth analogici), accenni funky, jazz notturno…insomma avrete capito che l’eclettismo non difetta ai nostri. Un’ottima occasione per uscire dall’affollato steccato sinfonico e seguire dieci gustose divagazioni; se nella prossima opera saranno smussate alcune asperità di troppo (a volte la frammentarietà – anche se cercata - appesantisce un po’ l’ascolto, specialmente nella seconda parte dell’album) potremo annoverare la Fonderia tra le nuove realtà di spicco della scena etno-crossover italiana accanto a nomi come Indaco o Acustimantico.
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Mauro Ranchicchio
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