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FONDERIA |
My grandmother’s space suit |
Bizarre |
2010 |
ITA |
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Partiamo da qui. La Fonderia è forse una delle poche realtà indipendenti proponibili oltre la schiera dei quattro gatti che seguono il panorama underground prog (e non solo, visto che questo gruppo non si può propriamente definire progressive). Dopo due fortunati (e decisamente riusciti) lavori, il gruppo romano tenta il salto di qualità registrando (e autoproducendo) questo “My grandmother’s space suit” nei mitici studi della ”Real World” di Peter Gabriel, con Marco Migliari in cabina di regia. Il terzo album, per una formazione musicale, di solito rappresenta il momento della svolta, il momento di decidere se si vuole rimanere ancorati a determinati schemi sonori per tutta la carriera o se (come succede in un appartamento) bisogna dare una rinfrescata alle pareti del proprio progetto musicale. Rappresenta un momento importante nella storia di un gruppo perché, se ci si è arrivati e arrivati bene come c’è arrivata la Fonderia (con critiche positive sia di chi gravita intorno a questo mondo sia da chi ci si è imbattuto solo per caso durante i concerti che il gruppo romano riesce a fare in giro), da quelle tracce ci si aspetta molto anche da un punto di vista di riscontro puramente e meramente economico (tanto più quando uno ci crede in un progetto, rischiando di questi tempi un’autoproduzione). Un disco del genere, mentre sicuramente verrà apprezzato in maniera incondizionata da chi si avvicina al mondo Fonderia per la prima volta, potrebbe spiazzare un po’ chi li segue dall’inizio. Sembra come se si fosse voluto presentare al grande pubblico una formula sonora rodata come quella già proposta in passato dal gruppo romano aggiungendo elementi a volte perfettamente integrati a volte un po’ forzati proprio per non fare inquadrare il gruppo in determinati schemi sonori e per evitare etichettature musicali. Per chi già conosce la storia del gruppo sembra come se la Fonderia col terzo lavoro avesse fatto un greatest hits di pezzi inediti con bonus track che esulano dal mondo sonoro del gruppo. Analizzando in maniera specifica i brani proposti la miscela tra jazz, rock, prog, echi Canterburyani, qualche riferimento alla musica minimalista e al funk fino ad arrivare al post rock riesce come sempre ad essere coinvolgente e a farti arrivare fino all’ultimo secondo del CD senza annoiare mai. La Fonderia ha fatto della trasversalità musicale il suo cavallo di battaglia, qualità apprezzata anche da chi non ama determinati stili e soluzioni sonore (basta vedere il pubblico medio che va a vedere i concerti del gruppo). Il brano d’apertura “Moebius Onion Rings” riprende stilisticamente il discorso interrotto tre anni fa con “Re-enter”, lasciando poi il passo ad una girandola di stili tra passato e presente della Fonderia, dal funk jazz di “Istambul” alle più prog “Liquid “ e “Gravity wave”. Discorso a parte è da fare per i due brani cantati: mentre nell’irriverente e parodica ”I Can’t Believe This is Just a Pop(e) Song” (ospite il belga Emmanuel Louis dei Funk Sinatra) ci addentriamo in territori cari ai Talking Heads, è con “Loaded Gun”, con ospite una grandissima e bravissima Barbara Eramo, che ci troviamo di fronte ad uno dei più bei pezzi fatti in campo rock in Italia e non solo, negli ultimi anni (accompagnato da un video altamente professionale cosa assai purtroppo rarissima in capo underground): un biglietto da visita importante per fare breccia in chi non si guarda troppo in giro. Il gruppo meriterebbe veramente un riconoscimento che andasse oltre le pacche sulle spalle, speriamo che questo “My grandmother’s space suit” rappresenti un punto importante per la carriera di questa grande band. Ne gioverebbe tutto l’ambiente.
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Antonio Piacentini
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