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Affiancare l'invito ad una dieta razionale alla figura obesa e deforme di un macellaio che con grottesco compiacimento guarda di sottecchi la testa del maialetto, sul quale ha fatto appena piombare fra capo e collo la sua lorda ascia, di certo ci fa intuire che c'è qualcosa di stridente e di non convenzionale nella musica del gruppo. Quando poi notiamo la provenienza geografica bielorussa, la curiosità non può che ravvivarsi: che roba è mai questa? Il più grande gruppo rock uscito fuori da questo paese è sicuramente quello dei Pesniary, e poi non ne ricordo altri… qualcosa a che fare col folk? O magari semplicemente qualcosa di osceno? Un'occhiata alla line up rivela un assetto a metà fra l'orchestra di musica da camera ed un gruppo rock, con una commistione di strumenti elettrici e classici. Abbiamo quindi una base di chitarra, basso, batteria e tastiere integrata da violino, fagotto, sax tenore e fisarmonica, con l'intervento di alcuni ospiti al violoncello e alla voce. Questo album è il terzo della band e rappresenta in pratica un'antologia contenente parte dei brani (i primi due e l'ultimo) già pubblicati nell'esordio del 2000, "From The Grey Notebook", e nel secondo lavoro, "The Shameless", del 2004 (opere queste pressoché introvabili) e qui proposti nella loro versione originale, anche se rimasterizzati. Le caratteristiche della musica ci fanno più direttamente pensare alle composizioni di alcuni autori classici del Novecento, con una prevalenza dei suoni orchestrali, ridotti però al formato minimale dell'assetto da camera (non aspettatevi quindi delle grandi sinfonie!), ed un ruolo contenuto delle componenti puramente rock. Associazioni stilistiche a quanto prodotto nell'ambito del movimento RIO sono lampanti, anche se probabilmente in questo caso si deve parlare di risultato somigliante, dovuto a comuni influenze rielaborate in chiave avanguardistica, e non di diretta ispirazione. Non sfugge l'uso di idiomi musicali cari a grandi autori quali Stravinsky, per le dissonanze, discordanze e le esplosioni ataviche di ispirazione pagana e rurale, ma soprattutto Shostakovich, per il ricorrere a tonalità spettrali e teatrali, dal sapore cupo. Bisogna pensare che questi musicisti hanno un'impostazione ed un curriculum che rientrano nell'ambito della musica classica, la loro dimestichezza con questa materia è pertanto indiscussa. A questo background dobbiamo aggiungere delle forti radici folk, uno spirito avanguardistico ribelle e reazionario e la provenienza da un paese tuttora vittima di una forte segregazione culturale, cosa questa che può portare all'esasperazione di certe caratteristiche. Come non può essere strabiliante la musica che ne scaturisce? Come non considerarla un piccolo miracolo? La bellezza di questa musica sta nell'accostamento fra un linguaggio sonoro universale, come può essere quello della musica classica, ad esperienze squisitamente locali. E' così ad esempio per "An Order For Horses" in cui viene incastrato un canto popolare bielorusso, cantilenato da una voce femminile stridula, su una base in cui gli archi acuti e lanciati contrastano col fagotto, che invece sembra borbottare. A modo suo il pezzo trova delle somiglianze con i russi Epos, per la sua carica folk dai tratti oscuri. Ad accrescere il valore artistico dell'opera, sono state inserite alcune sequenze vocali in cui vengono declamati i versi dei poeti d'avanguardia Daniil Kharms e Alexei Kruchenykh. Purtroppo per noi l'idioma locale non ci permette di capirne il contenuto e bisogna comunque precisare che si tratta di occasioni limitate nel complesso di un album prevalentemente strumentale. E' un vero peccato non capire il senso delle parole in tracce come "Don't Swing A Wheel", in cui ad ogni breve frase, pronunciata con un'impostazione teatrale da una voce dal timbro inquietante, si susseguono degli improvvisi cambi di ambientazione sonora, con passaggi a volte angoscianti, sottolineati dal ronzio cupo del violoncello, a volte carichi di tensione, incalzati dal violino spettrale, a volte stranianti e quasi deliranti, esasperati dal martellamento di una cantilena snervante. Come accennato l'album è in prevalenza interpretato da strumenti classici e quasi assenti sono quelli tipicamente "rock", batteria inclusa, che però spuntano fuori, come funghi dopo un acquazzone, nell'ultima traccia, interessante per l'interazione vivace fra le due categorie di strumenti. In generale si può dire che questo stile più ibrido è caratteristico del primo album, mentre le produzioni successive spostano l'accento sul versante della musica da camera. La musica è piacevolmente complessa, dal taglio originale, soprattutto per le sue influenze etniche davvero peculiari, e riluce per la sua perversa godibilità. L'approccio a questo disco non è semplice, il linguaggio sonoro è molto tormentato, dalle sonorità scarne ma intricate, ma la proposta è senza dubbio intrigante per chi si lascerà avvincere, seducente per chi non ricerca a tutti i costi l'immediatezza e imperdibile per gli appassionati di certe sonorità. Amanti fedeli del prog romantico: statene alla larga… anche se questo potrebbe rischiare di essere il disco dell'anno!
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