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SERGIO BENCHIMOL |
Ciclos imaginàrios |
autoprod. |
2007 |
BRA |
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E' inutile nascondere che questo album mi ha letteralmente stregato, la sua grazia, le sue suadenti melodie dalle fragranze sudamericane, unite a pennellate di soft jazz dagli aloni Canterburyani, rappresentano la ricetta ideale per rallegrare lo spirito. Questo è il secondo album solista nel curriculum del polistrumentista brasiliano, anche se la carriera di Sergio, legata fin da subito al Progressive, inizia già nei primi anni Settanta nei Semente per proseguire, negli anni Novanta, con la band soft jazz True Illusion. Come abbiamo detto Sergio suona diversi strumenti ma non si accontenta certo di fare tutto da solo e chiama attorno a sé numerosi ospiti per arricchire il tessuto sonoro del suo album. Sarebbe stato un peccato non fare così, perché le composizioni sono dotate di un gusto molto raffinato e sono dominate da melodie davvero aggraziate che, grazie a questi arrangiamenti, vengono valorizzate al meglio. Troviamo quindi Sergio alla chitarra acustica e alla voce, nelle poche tracce cantate, e una serie di musicisti che suonano strumenti classici a fargli da contorno, andando a formare una vera e propria orchestra di soft jazz da camera, con tanto di oboe, flauto, violoncello, violino, ma anche sax, tromba, basso, batteria e percussioni. Rispetto al primo album, più sbilanciato sul versante fusion, questo nuovo lavoro si presenta più soft e squisitamente sinfonico, con bellissimi riferimenti locali in grado di dare un ammaliante tocco di esoticità tale da rendere questa proposta particolarmente gustosa ed interessante. La struttura delle canzoni, in contrasto con la ricchezza degli strumenti impiegati, è abbastanza semplice ed è costruita su poche melodie portanti. I suoni sono sempre delicati e fragili, quasi mai orchestrali e hanno per lo più un sapore intimistico. Gli elementi principali sono senza dubbio il flauto e la chitarra che, intrecciandosi mollemente, danno una sensazione di compiaciuta malinconia. La traccia di apertura, "Terral II", è fra quelle meglio riuscite: fin da subito mi fa in qualche modo venire in mente "In the Land of Grey and Pink" e l'effetto è particolarissimo proprio per gli insoliti accenti sudamericani che la musica acquisisce grazie alla sensibilità del compositore. La successiva "Oregon Mountains" si lascia apprezzare per le languide melodie intonate dal violoncello e dagli archi che gettano un delicato velo di malinconia in un contesto musicale che trasmette un'armonia leggera e frizzante, soprattutto per il flauto cinguettante e per l'allegra chitarra acustica. Le due canzoni centrali sono le più semplici ed acquistano quasi un sapore cantautoriale, con la voce di Sergio che intona nenie dal sapore tipicamente brasileiro, con l'effetto finale di un jazz soft da piano bar ma al tempo stesso colto ed elegante grazie all'apporto gentile degli strumenti classici. Le ultime tracce sono quelle più complesse e mi riferisco soprattutto alla bella canzone di chiusura, "Shadow Valley", la più lunga dell'album con i suoi nove minuti, in cui musica da camera e spunti jazz complessi ma non pesanti, con fiati ben pronunciati, si intrecciano in maniera colta ed intrigante. L'unica pecca di questo CD è la durata, molto contenuta, che si attesta appena sui 36 minuti. Un album per palati raffinati, assolutamente delizioso, in cui si fa leva sui particolari, sulle melodie, sul feeling, sulla morbidezza dei suoni più che su vuoti sensazionalismi. A corollario aggiungiamo che l'artista mette a disposizione sul proprio sito l'intero album, gratuitamente, a basso bit-rate. Un assaggio a questo punto mi sembra doveroso.
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Jessica Attene
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