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AINUR Children of Húrin Electromantic Music 2007 ITA

Naturale conseguenza di un album a tema tolkieniano come “From ancient times”, pubblicato due anni orsono, giunge la prova della maturità per i piemontesi Ainur, che scelgono questa volta di cimentarsi con una vera e propria opera concept. Se la scelta può inizialmente apparire ovvia e poco originale a chi segue il prog (e il genere letterario fantasy), considerati gli illustri precedenti, diamo invece merito alla band di una mossa coraggiosa: la storia che pervade epicamente i 50 minuti dell’album è infatti la trasposizione del romanzo postumo “I figli di Húrin”, pubblicato solo nel 2007 grazie al lavoro di ricostruzione svolto da Christopher Tolkien su una serie di scritti elaborati da suo padre in epoche diverse. Senza naturalmente entrare con dettaglio nel merito della trama, mi limiterò a dire che gli eventi narrati si inquadrano temporalmente migliaia di anni prima della più nota “guerra dell’Anello” ed hanno per protagonista Túrin (figlio del grande guerriero umano Húrin Thalion), sulla cui famiglia grava una maledizione scagliata dall’oscuro Morgoth che ne condizionerà ineluttabilmente il fato in una teoria di eventi eroici e tragici che accomunano un po’ la storia narrata ad una tragedia greca.
Il nucleo della band consiste nei compositori Gianluca Castelli (tastiere), Luca e Marco Catalano (rispettivamente chitarra e percussioni) e Simone Del Savio (voce baritono), coadiuvati da Wilma Collo, autrice di tutte le liriche; non è certo di poco conto lo stuolo di collaboratori di cui la band si circonda per rendere giustizia al tono epico del progetto: contiamo altre sei voci femminili e maschili, un bassista, una sezione d’archi, un’altra di fiati ed un’arpa. Tanta ricchezza fa sì che anche nel corso dello stesso brano si passi da sezioni rock ad altre cameristiche od operistiche, da sprazzi di metal-prog (pochi, in verità) ad aperture sinfoniche in senso classico, da quadretti medievaleggianti a dialoghi tipici dell’opera rock o addirittura dei musical di Rice e Lloyd-Webber (con la tipica alternanza di tenori e voci baritonali) fino a momenti più accomunabili a vere e proprie canzoni con tanto di refrain.
Premesso che musicalmente l’album è godibilissimo a prescindere dalla storia sottesa, una conoscenza anche minima della trama favorisce la comprensione delle atmosfere che dominano i brani, così il brano prevalentemente strumentale che apre l’opera, “Morgoth’s prophecy” presenta i temi che ricorreranno in seguito, e preannuncia il destino del prode e sfortunato Túrin, così come l’innocenza della melodia di “Son of gloom”, sottolineata dal clarinetto, si riferisce all’infanzia del nostro eroe.
Altrove sono toni frenetici e grandiosi a dominare, ed ecco Re Thingol donare la spada nera all’elfo Beleg (“Anglachel – The black sword”) in un trionfo dal sapore cinematografico di flauto e corno su una base d’archi, per non tacere della scena altamente cinematica della sconfitta del drago Glaurung, con violino, fiati e Moog che si rispondono a vicenda, ed una chitarra elettrica che si lancia in velocissimi assoli dal sapore quasi metallico.
Quando la serenità giunge a placare gli animi o il lutto impone attimi di riflessione, ecco che le voci femminili ci giungono alle orecchie tenere e ammaliatrici (Mourning – The coming of Nienor”) su soffusi arpeggi di chitarra classica, così come l’amore rifiutato della giovane Finduilas si esprime con un canto che rivela un senso melodico fuori dal comune (“The voice in the woods”).
Potrei continuare ancora a lungo, ma non credo sia il caso di un’analisi brano per brano: mi accontento di aggiungere un plauso meritatissimo a tutti i cantanti che si cimentano nel corso dell’opera: da loro una prestazione magnifica, senza alcuna sbavatura, da veri professionisti, mai stucchevoli, mai eccessivi, sempre perfetti per il ruolo recitato. Bravi davvero, come anche notevole è il lavoro di Dino Olivieri, autore dell’artwork di copertina e delle illustrazioni originali che arricchiscono il booklet.
Apprendiamo infine dal sito della band che il presente concept rientra in un piano ambizioso quanto affascinante: quello di trasporre in musica l’intero corpus di leggende contenute nel Silmarillion: vista l’ottima riuscita di questo secondo volume, ne attendiamo con favore i capitoli successivi, già in fase di registrazione. Come si sarà ormai intuito, consiglio senza indugi l’album a tutti, chi poi è rimasto entusiasta di un recente album doppio firmato da un progetto assai più strombazzato - anch’esso strutturato ad “opera rock“ – si convincerà che gli Ainur sono giunti a risultati quantomeno di pari valore e molto probabilmente superiori, grazie anche all’organicità degli arrangiamenti e non ultimo al dono della sintesi, molto raro in questi frangenti.

 

Mauro Ranchicchio

Collegamenti ad altre recensioni

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AINUR Lay of Leithian 2009 

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