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AINUR |
Lay of Leithian |
Electromantic Music |
2009 |
ITA |
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Giungono al terzo album gli Ainur, largo ensemble che continua la sua opera di descrizione musicale dell’epica Tolkieniana del “Silmarillion”. Per “Lay of Leithian”, doppio CD della durata totale di circa due ore e venti, lo spiegamento di forze è imponente e impressionante. Ben diciassette, infatti, sono i musicisti della band, tra cantanti e strumentisti rock e classici. Il diciottesimo elemento risponde al nome di Vilma Collo, che si occupa dei testi. Ma non è finita, considerando che a questo lavoro hanno partecipato anche l’orchestra sinfonica de I Musici di San Grato, composta da quindici elementi diretti da Edoardo Narbona, più altri cinque ospiti. Insomma, bisogna dire che gli Ainur pensano e operano davvero in grande, ma i risultati danno loro ampiamente ragione, grazie ad un altro album che presenta molteplici spunti di interesse. L’imperiosa orchestra guida la title-track, che funge da introduzione ed è un ottima presentazione attraverso un prog sinfonico di alta qualità, in cui strumentazione rock e classica si uniscono alla perfezione nell’esecuzione di temi diversi. A seguire, una serie di brani che ripercorrono vari stili musicali, in maniera tale da risultare descrittivi del concept. E così “Barahir’s son”, pur aperta da strumenti acustici quali flauto, piano e violino, si evolve presto in un incandescente prog-metal, potente, con eleganti aperture melodiche e con parti cantate solenni. Se per la maggior parte dell’album si punta su un sound altisonante e robusto da rock-opera, che segue un po’ la scia della PFM di “Dracula” o dell’album dei Magni Animi Viri (tanto per rimanere in ambito prog, ma potremmo citare anche il “Notre Dame de Paris” di Cocciante), avvicinandosi in alcune circostanze in maniera decisa al metal soprattutto per merito di chitarre ruggenti, non mancano episodi più bucolici, che spingono verso il folk (come “Song of the night”, “The bat and the wolf”), o aperture molto classicheggianti, spesso enfatizzate da toni drammatici e/o malinconici, o persino la musica lirica (l’inizio di “Hirilorn” e “Before the throne”). Si potrebbe addirittura vedere una componente gotica nell’elegiaca “Return from death”, che inizia con voci eteree, piano, flauto e archi, per andare poi in un crescendo sia ritmico che di intensità. Inoltre, le dinamiche imprevedibili e l’ampia strumentazione permettono anche passaggi da uno stile ad un altro all’interno di una stessa composizione. A completare l’opera, c’è un artwork ben curato, ovviamente tendente al fantasy, anche se ha il difetto delle note scritte in un carattere troppo piccolo, cosa che rende un po’ stancante la lettura. Il disco è molto bello e si avverte l’enorme professionalità che c’è dietro. E’ altrettanto vero che è un po’ lunghetto e che una sintesi maggiore avrebbe forse giovato; eppure, anche con un minutaggio così elevato, “Lay of Leithian” resta un gran bel lavoro indirizzato agli estimatori delle opere rock, del rock sinfonico, delle sonorità maestose e, ovviamente, della letteratura fantasy di Tolkien.
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Peppe Di Spirito
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