L'idea di utilizzare la musica per descrivere immagini ha stimolato compositori di diverse estrazioni, e numerosi sono stati nel tempo gli esempi di opere miranti a rappresentare, attraverso le note, particolari sensazioni visive. Per citare due casi tra loro assai distanti, potremmo richiamare i famosi "Quadri di un'esposizione" del compositore russo M. P. Mussorgskij (poi ripresi in chiave rock da EL&P) e il più recente "Gallery of dreams" dell'austriaco Gandalf; entrambi - seppur in diverso modo -tentativi riusciti di impiegare la musica in funzione iconografica. Lo stesso tipo di propositi muovono oggi il polistrumentista francese P. Broguière, qui al suo secondo album dopo il buon esordio di "Broceliande", del 1994. Come si conviene ad un album che mira a ricreare tratti e colori differenti, ora freschi e vivaci, ora cupi e glabri, la musica segue un percorso mutevole, mancando quel filo conduttore stilistico che nell'esordio era rintracciabile nell'ambientazione medioevale; si passa così da soluzioni jazzate ad altre più rock (complice anche un maggior uso della chitarra rispetto al passato, che Broguière dimostra di saper imbracciare con perizia almeno pari a quella delle tastiere), e da soluzioni decisamente tendenti verso la modernità ad altre che rivelano palesemente il background classico dell'artista. Il livello medio si mantiene comunque sempre al di sopra della sufficienza, con in più alcuni picchi dal gusto melodico sopraffino ("Museum", "Icones"), ed è per questo che, se non fosse per qualche ripetizione o qualche batteria programmata di troppo, sarebbe davvero difficile riuscire a rintracciare qualche neo in questo disco, che pure Broguière suona quasi totalmente da solo, impegnandosi con chitarre, tastiere, violino e flauto. Non un must, ma un acquisto consigliato per chi apprezza gli strumentisti solitari.