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ARGOS |
Argos |
Musea |
2009 |
GER |
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Si dice che bisogna proiettarsi verso il futuro, che bisogna cercare di essere innovativi, sperimentatori, che bisogna cercare di liberarsi da stilemi musicali vecchi per garantire la sopravvivenza del nostro genere e non farlo diventare un reperto archeologico per nostalgici. Altrimenti tanto vale prendersi un vecchio disco dei Genesis ed ascoltare quello all'infinito invece di dare fiducia all'ennesima band di cloni. Ragionamento nobile e perfetto ma poi esce fuori un album come questo, onesto e spudoratamente derivativo, e subito scocca una scintilla nell'anima di chi è avvezzo a certe sonorità e porta nel cuore certe arie musicali che molti di noi ritengono immortali. Quando poi l'intento del gruppo è chiaro e viene enunciato con sincerità e limpidezza, non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento, anche se in effetti ci rendiamo conto che un album così non porterà certamente ossigeno al nostro meraviglioso universo che tende sempre più al collasso. Questo album si divide in tre raggruppamenti di canzoni, raccolte sotto le seguenti definizioni: "Part 1: Nursed by Giants", "Part 2: Canterbury Souls" e "Part 3: From Liverpool to Outer Space". Chiarendo questo aspetto vi ho già fatto capire molto, ma facciamo un piccolo passo indietro, cosicché possa presentarvi il gruppo. Si tratta di un trio tedesco guidato dal polistrumentista Thomas Klarmann (basso, flauto, tastiere, chitarra, voce), artista che inizia la sua carriera nell'ombra, suonando il flauto ed il basso in numerosi gruppi e mettendo poi in piedi, sul finire degli anni Settanta, una propria band, gli Eyesberg, ispirata ai grandi classici inglesi del prog. Inizialmente questi Argos dovevano essere un suo progetto solista ma poi sono arrivati anche Robert Gozon (voce, tastiere, chitarra) e Ulf Jacobs (batteria) a completare la formazione. Thomas spiega che le nuove band che hanno rivitalizzato, secondo lui, il panorama prog negli anni Novanta (Flower Kings, Echolyn e Spocks Beard) hanno fatto riaccendere in lui l'interesse e l'amore per il nostro genere e da qui nasce la voglia di tornare a suonare questo tipo di musica. Ecco quindi questo primo album, fortemente ispirato a modelli classici, come avrete potuto intuire, ricco di suoni vintage ma allo stesso tempo dal taglio abbastanza moderno, grazie soprattutto all'ispirazione fornita dai modelli più recenti. Noterete che la suddivisione in blocchi è in realtà abbastanza labile e tutta questa differenza fra i tre gruppi di canzoni non si sente in maniera eccessiva. L'influenza che pesa di più globalmente è quella dei Genesis, a partire dalla voce di Thomas che ha una piacevole timbrica che oscilla fra Peter Gabriel e Richard Sinclair. Le prime 5 canzoni, quelle del primo gruppo, sono quelle che a mio giudizio possono considerarsi le meglio riuscite. Vi è infatti una commistione equilibrata e ben miscelata delle diverse influenze che partono dai Genesis, come ho appena detto, e incorporano elementi di Yes, Caravan e in misura minore, dei Gentle Giant. Ci sono belle parti vintage di tastiere, deliziose parti vocali, sempre delicate, e si percepisce anche un piacevole approccio moderno, ispirato ai modelli più recenti che ho sopra elencato. Deliziosi i 5 minuti di "The King of Ghosts" il cui refrain sembra virare quasi verso "Ziggy Stardust" per poi trasformarsi in qualcosa di diverso. Vi è molta melodia, arrangiamenti interessanti e una buona dose di Gentle Giant, senza però spingersi troppo verso soluzioni complesse o addirittura ostiche. I quattro pezzi centrali (di cui 3 interamente strumentali) hanno elementi soft fusion e impasti sonori che ricordano in parte gli Hatfield And The North… in questo senso il titolo della prima traccia è emblematico: "The Hat Goes North"! Infine, le 5 tracce conclusive presentano un approccio più melodico, un costrutto più semplice e parti vocali dominanti. Giudizio globalmente positivo per questo album, accessibile, pieno di elementi ammiccanti e ben realizzato che si configura come un piacevole passatempo per chi vuole assaporare sonorità del passato in una formula altamente digeribile. C'è comunque molto spazio per migliorare questa proposta e partirei dall'eliminare il raggruppamento tematico delle canzoni tentando una maggiore miscelazione dei diversi elementi e delle diverse fonti di ispirazione.
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Jessica Attene
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