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MINDFLOWER |
Little enchanted void |
Musea |
2009 |
ITA |
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Mentre noi passiamo il tempo a farci domande, forse inutili o forse no, sul perché le uscite Prog di qualità si siano contratte negli ultimi anni, sul perché il mercato discografico stia collassando e ci interroghiamo sullo stato di salute del nostro genere musicale, ecco che esce un album come questo, il cui ascolto è stato in grado di polverizzare dubbi e presentimenti infausti. Finché usciranno dischi così il nostro genere non morirà, anche se poi saremo in pochi a goderne, purtroppo. I Mindflower tornano dopo un gap di 8 anni con questo terzo album che li separa dall'ottimo "Mindfloater" uscito nel 2001 per la Mellow. L'impegno per la realizzazione del nuovo album è evidente fin nei particolari, dal booklet, semplice ed elegante, fino all'utilizzo di studi di registrazione e masterizzazione di alto livello (Real World Studios e Abbey Road Studios), con l'assistenza tecnica di personale qualificato. La cura dei suoni per un album del genere è vitale, l'effetto finale si gioca infatti sulla percezione dei particolari e delle più esili nuance e la mancata messa a fuoco dei dettagli avrebbe comportato una grande perdita.
Se vi ricordate il precedente album, possiamo dire che il sentiero che i Mindflower stanno percorrendo è pressappoco quello: brani che si basano su una gamma sonora raffinata e delicatissima, ricca di dettagli minuti, e fatta di impressioni orchestrali e semiacustiche da assaporare attraverso letture ripetute, entrando gradualmente in sintonia con i pezzi per scoprirne ogni particolare. L'impressione è quella di un album profondamente ispirato alla musica dei Genesis ma che a questa non somiglia. Ancora migliore è secondo me il confronto con le opere soliste di Anthony Phillips e Steve Hackett, con una performance vocale di Gian Fabrizio Defacqz che ricorda quella di Peter Gabriel. Uno degli aspetti più affascinanti di questa musica è costituito dagli arrangiamenti orchestrali, forniti da una serie di musicisti aggiuntivi, con un quartetto d'archi, l'oboe ed il flicorno, che imbibiscono gentilmente i brani con la loro esile struttura elettrica. Come l'acqua abbraccia gli antichi edifici di Venezia, scandendo i ritmi di vita della città, così l'insieme di questi suoni orchestrali modula l'impatto emozionale della musica, a volte sognante e tranquilla, a volte risvegliata dal montare della marea. Questo paragone acquatico è secondo me appropriato perché l'ascolto di questo album dà come l'impressione di fluttuare in un sogno. Strutturalmente l'album si articola in 26 brevissime tracce, tanti piccoli acquerelli che si susseguono in maniera fluida e consequenziale e ci fanno scivolare piacevolmente verso la fine. Il mood è persistentemente sognante e delicato, gli arrangiamenti non sono mai carichi, nonostante l'impiego di soluzioni orchestrali, e non mancano tocchi di sofisticato pop nei momenti più elettrici. Molto spesso troviamo sequenze costruite attorno a pochi elementi, come piano e voce, ma i cambiamenti sono continui, anche se sempre delicati, e la musica si trasforma continuamente.
Le condizioni di ascolto ideali sono quelle rilassate in cuffia, così da poter assorbire ogni istante in maniera isolata dall'ambiente. Questo accorgimento aiuta particolarmente, specie se pensiamo che il disco è registrato "un po' basso" e l'esigenza di andare verso lo stereo per alzare il volume si è fatta sentire più volte. Dalle mie parole avrete sicuramente capito che il giudizio su questo album è estremamente positivo, anche se non so se possa essere considerato superiore al precedente. Si tratta di un album delizioso, personale, elegante e realizzato in maniera professionale e che sicuramente farà ricordare ancora una volta positivamente la scena prog italiana all'estero (già perché all'estero pare che siano più svegli di noi se non ve ne siete accorti).
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Jessica Attene
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